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Bulletin

La vita monastica oggi

125

Bulletin

« Tutta la vita come liturgia »

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Bulletin

I Capitoli generali cistercensi
(OCSO e OCist, sett. e ott. 2022)

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Bulletin

Vita monastica e sinodalità

122

Bulletin

La gestione della Casa comune

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Bulletin

Fratelli tutti
La fraternità nella vita monastica

La gestione della Casa comune

Estratto del Bollettino dell’AIM • 2022 - No 122

Riepilogo

Editoriale

Dom Jean-Pierre Longeat, osb

Presidente dell’AIM


Ecologia e vita monastica

Dom Jean-Pierre Longeat, osb

Presidente dell’AIM


Prospettive

Una nuova tappa per la vita monastica

Dom Mauro-Giuseppe Lepori, ocist


Apertura sul mondo

Comprendere l’antropocene

Estratto di una conferenza di Bernard Lucet


Testimonianze

Francia : i monasteri ecologisti

Suor Nathanaëlle Lefoulon, osb


Economia e vita monastica

I monasteri per una economia alternativa e sostenibile

Benoît-Joseph Pons


Grande figure della vita monastica

Viktor Josef Dammertz (1929-2020)

Padre Cyrill Schäffer, osb


Notizie

L’evoluzione delle congregazioni benedettine da un punto di vista femminile

Madre Franziska Lukas, osb

Sommaire

Editoriale

Qesto nuovo numero del Bollettino dell’AIM prolunga in un certo senso il precedente. Propone uno sguardo concreto sulla gestione della Casa comune come auspicato da Laudato si’ e Fratelli tutti.

Si troverà una riflessione sullo stato dei luoghi della nostra vita nella nuova era, già cominciata a partire dalla metà del ventesimo secolo e definita sempre più comunemente l’era dell’antropocene; uno sguardo sulla proposta di un’economia alternativa così come è possibile viverla nei monasteri.

Altri interventi e rubriche completano questo estratto. Viene riportato quanto detto dall’Abate Generale dei cistercensi, Dom Mauro-Giuseppe Lepori nel Consiglio dell’ottobre 2021, un profilo di Mons. Josef Dammertz, arciabate, abate primate, vescovo, monaco e il contributo di Madre Franziska Lukas, abbadessa di Dinklage, sull’esperienza della creazione di una congregazione benedettina europea in seguito alla pubblicazione di Cor orans, l’Istruzione applicativa della Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere.

Proseguiamo insieme il cammino, risolutamente, per contribuire

al sorgere di un mondo nuovo.


Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Presidente dell’AIM

Articoli

Ecologia e vita monastica

1

Dom Jean-Pierre Longeat, osb

Presidente dell’AIM


Ecologia e vita monastica


 

La parola ecologia (oikos-logos), secondo la sua origine greca, rimanda alla gestione interna di una casa e, di conseguenza, allo spazio e al tempo in cui si contestualizza la vita degli umani.

Il discorso sull’ecologia deve attuarsi in due fasi che, letteralmente, sono trattate sotto il termine di economia. In realtà, se si rimane fedeli all’origine greca della parola (oikos-nomos), l’economia rimanda all’insieme delle “leggi” che servono per vivere insieme le dimensioni dello spazio e del tempo. È veramente un peccato che questo termine sia ormai ridotto a essere usato solo nell’ambito della finanza. Questa parola, invece, rimanda a tutti gli elementi della vita personale, sociale e persino spirituale. C’è un modo “economico” di vivere insieme e, personalmente, ciascuno è chiamato a coinvolgersi in una sana ecologia. I monaci sono assolutamente coinvolti in questa dimensione.

A partire dalla Regola di san Benedetto, la priorità “economica” della vita dei monaci è l’ascolto di Dio e dei loro simili, perché si possa attuare un libero scambio di una parola capace di andare al fondo delle cose. È questo il motivo per cui i monaci preferiscono, per quanto possibile, il silenzio, perché le parole possano avere il loro giusto peso. Si potrebbe dire che l’ascolto essenziale, sia di se stessi che di quella Voce misteriosa che ci precede e che chiamiamo Dio, sta alla base di ogni economia ecologica. Il fracasso delle parole sta certamente all’origine di ogni crisi economica della vita umana. La parola è un dono ricevuto e ridonato per essere messo a disposizione di tutti. Per poter essere percepito in tutta la sua ricchezza, si rende necessario un grande lavoro di sgombero interiore.

Proprio per questo in monastero tutto è organizzato in funzione di questa ecologia umana sia per la vita personale che per quella comunitaria.

Lungo tutta la giornata i monaci cercano di fare attenzione al bene supremo della Parola che viene dall’Alto. Si riuniscono sette volte al giorno per la preghiera e in tal modo si rimettono continuamente alla presenza di quella fonte sorgiva da cui vogliono prima di tutto attingere rispondendo al suo dono. È questo il motivo per cui in monastero si canta molto, come espressione della lode per il dono della creazione e della vita. Non solo, in tal modo si fa risuonare il grido di dolore dell’umanità, spesso provata, sulle strade di questo mondo.

I monaci organizzano gli spazi in modo tale che ogni dettaglio sia pienamente valorizzato. La Regola di san Benedetto chiede all’economo del monastero di vigilare, perché tutte le cose in monastero siano trattate come i vasi sacri dell’altare.

Spazi verdi, orti, frutteti, boschi o terreni agricoli sono tutti vissuti come ambiti di contemplazione. Molti monasteri contemporanei sono attenti nel prendersi cura dello spazio adottando quelle che sono le regole elementari proposte dal movimento ecologico.

Anche il rapporto con il tempo viene vissuto in una sana economia, anche se, attualmente, almeno in Occidente, persino i monasteri subiscono la pressione degli imperativi di produttività al pari della società circostante. Tuttavia, l’equilibrio tra preghiera, lavoro e vita fraterna, in una dimensione di gratuità, resta una regola fondamentale che deve essere preservata a ogni costo per vivere una buona economia sociale. Per fare questo, i monasteri possono contare sul potenziale della straordinaria rete di solidarietà rappresentato dal numero di comunità monastiche presenti nei cinque continenti. Si potrebbe dire che la vita monastica sviluppa l’ideale ecologico di una globalizzazione fraterna.

Anche l’alimentazione è per i monaci un ambito economico ed ecologico importante. Per i monaci mangiare comporta sempre la consapevolezza di un dono ricevuto e condiviso. San Benedetto insiste sulla regola di mangiare in modo sobrio, senza eccessi né sprechi. Le portate devono essere giuste, sane ed equilibrate per una giusta alimentazione che permetta lo svolgimento adeguato delle altre attività quotidiane. Se vi è un simbolo che indichi un buon equilibrio di vita è proprio quello del regime alimentare. Le comunità monastiche cercano veramente di maturare una buona riflessione su questo tema, anche quando sono costrette a ricorrere ad aiuti esterni.

Il benessere della vita ordinaria si limita al necessario. Per questo si dà a ciascuno ciò di cui ha veramente bisogno. Tutto viene messo in comune per vivere un’economia solidale. Il fatto di mettere insieme le risorse di una comunità permette di ridurre le spese e di investire generosamente in progetti che un individuo o una famiglia da soli non potrebbero mai permettersi.

Accogliendo gli ospiti per tempi di silenzio e di ritiro, le realtà monastiche si offrono alla nostra società come delle oasi dove si può tentare di respirare meglio, di condividere meglio, di possedere di meno per essere veramente se stessi in relazione agli altri.

Desta una certa meraviglia constatare che il capitolo più ecologico della Regola di san Benedetto è quello che riguarda l’economo del monastero:

«Come cellerario del monastero sia scelto nella comunità stessa un monaco che sia saggio, maturo, sobrio, non ingordo, non superbo, non turbolento, non offensivo, non indolente, non dissipatore, ma pieno di timor di Dio, che sia come un padre per tutta la comunità. Abbia cura di tutto, ma non faccia nulla senza il permesso dell’abate. Osservi fedelmente ciò che gli viene comandato. Non contristi i fratelli. Se per caso qualche fratello gli chiede qualche cosa di indebito, non lo contristi con il disprezzo, ma ragionevolmente e con umiltà sappia dire di no alla richiesta inopportuna. Custodisca la sua anima […].

Si prende cura con ogni diligenza dei malati, dei fanciulli, degli ospiti e dei poveri […].

Non sia incline all’avarizia e neppure prodigo o sperperatore dei beni del monastero, ma tutto faccia con misura e con grande attenzione al bene comune» (RB 31).

Certo, la vita del monastero non si fonda sul cellerario, ma il suo esempio, come quello degli altri fratelli del monastero, può incoraggiare la comunità a prendere delle decisioni giuste per una testimonianza ecologica che va continuamente attualizzata. du monastère ne repose pas sur le cellérier, mais son exemple, comme celui de tous dans le monastère, peut encourager la communauté à prendre des décisions justes pour un témoignage écologique sans cesse actualisé.

I cieli e la terra proclamano la gloria di Dio

2

Articolo non tradotto. Visualizzazione in francese, inglese o altra lingua.

Notizie dalla Confederazione Benedettina

3

Articolo non tradotto. Visualizzazione in francese, inglese o altra lingua.

Una nuova tappa per la vita monastica

4

Prospettive

Dom Mauro-Giuseppe Lepori, ocist

Abate generale dell'Ordine cistercense

 

Una nuova tappa per la vita monastica

 


Les statistiques concernant l’Ordre cistercien continuent de baisser, même si au Vietnam et en Afrique et en certains monastères particuliers en Europe, les chiffres semblent toujours réjouissants.

À titre d’exemple pour les temps qui viennent de s’écouler : j'ai visité, avec l’Abbesse Présidente de la congrégation de Castille, huit communautés de moniales en Espagne. En deux semaines, nous avons eu l’élection d’une nouvelle abbesse indienne, nous avons décidé de fermer deux monastères avec un transfert des sœurs au monastère d’accueil réalisé à Madrid ; nous avons décidé d’affilier deux autres monastères, et nous avons nommé une prieure administratrice dans un autre monastère.

Ainsi décliné, cela pourrait apparaître comme une liste un peu tragique, mis à part pour l’abbeLe statistiche riguardanti l’Ordine cistercense continuano a diminuire, anche se in Vietnam e in Africa e in alcuni particolari monasteri in Europa i numeri sembrano ancora incoraggianti.

Come esempio, ho visitato, insieme all’Abbadessa Presidente della Congregazione di Castiglia, otto comunità di monache in Spagna. In due settimane, abbiamo avuto l’elezione di una nuova abbadessa indiana, abbiamo deciso di chiudere due monasteri con il trasferimento delle sorelle presso il monastero che le ha accolte a Madrid; abbiamo deciso di affiliare altri due monasteri e abbiamo nominato una Priora amministratrice in un altro monastero.

Presentato così, potrebbe sembrare un elenco piuttosto tragico, tranne che per la abbadessa indiana, eppure il modo in cui tutto si è svolto ci ha riempito di gratitudine e, in definitiva, di speranza. Non di speranze al plurale, ma di speranza al singolare. Vedere comunità che accettano la morte con serenità, sapendo di essere accompagnate e amate, ci riempie di speranza, se non altro per il frutto abbondante che i semi caduti su un terreno buono potranno portare. Dove? Quando? Solo Dio lo sa.

Un mese fa abbiamo tenuto una riunione informale del Sinodo dell’Ordine per rilanciare la preparazione del Capitolo Generale rinviato a ottobre 2022. A parte due abati dal Vietnam e uno dal Canada, all’incontro hanno potuto partecipare una ventina di membri: è stato un bellissimo incontro di cui avevamo bisogno. Abbiamo rielaborato i temi principali che vogliamo affrontare nel prossimo Capitolo Generale: abuso di potere e visite regolari; formazione; strutture di governo dell’Ordine; fondazioni e riduzione del numero dei monasteri.

Ecco alcuni passaggi della mia riflessione introduttiva a questo Sinodo, che avevo intitolato: «Ritrovare un equilibrio monastico per ripartire su un cammino di comunione sinodale».

Ho detto che non era sufficiente riflettere su come tenere un Capitolo Generale nonostante la crisi del coronavirus. Credo che questa crisi ci ricordi soprattutto che dobbiamo pensare al Capitolo Generale e all’Ordine con un maggiore senso di responsabilità, anzi in modo più “drammatico” e più maturo: che la nostra unione nell’Ordine e i nostri incontri siano vissuti in ogni congregazione, in ogni comunità, come in tutta l’umanità, con responsabilità per il nostro tempo.

La crisi del Covid ci ha fermato. Molte persone e comunità hanno iniziato a lavorare su se stesse, aiutate dal fatto che praticamente tutte le altre attività erano state interrotte. Abbiamo potuto concentrarci sull’essenziale della nostra vocazione: preghiera, ascolto della Parola di Dio, vita fraterna in comunità. Paradossalmente, questa concentrazione sull’essenziale era più facile per le comunità con molte attività esterne, perché il lockdown significava per loro, almeno per qualche mese, un cambiamento radicale in netto contrasto con la vita precedente. È stato quindi vissuto come un “segno di contraddizione” che ha segnato profondamente le persone e la vita comunitaria. Nelle comunità di stile maggiormente “contemplativo” il contrasto non era così evidente e per questo forse meno problematico. Ma è difficile giudicare, perché ogni comunità ha vissuto questo tempo particolare in maniera originale.

Quando la vita e le attività sono riprese, pur con le limitazioni sempre necessarie, si trattava e si tratta tuttora per tutti di capire come ricominciare, come riprendere il cammino. E non è facile, perché avvertiamo una certa stanchezza, facciamo fatica a riprendere le attività, ad aprire le nostre case, le nostre foresterie. Mi sono chiesto: da dove viene questa fatica? Perché sentiamo di essere diventati più stanchi e persino più vecchi? Forse semplicemente perché la prova della pandemia ci ha costretti ad affrontare le nostre reali fragilità. Prima, molte comunità, anche anziane e poco numerose, svolgevano grandi attività e impegni importanti non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello della celebrazione liturgica. Pensavamo di averne la forza, semplicemente perché queste attività erano sempre state svolte quando eravamo giovani e numerosi.

Siamo andati avanti come locomotive trascinando tutto, senza renderci conto che non ci siamo mai fermati a ricalcolare ciò che le nostre forze ci permettevano davvero, a riconsiderare se l’orario e il modo di celebrare l’Ufficio e di gestire le nostre attività fossero ancora sopportabili per la nostra situazione reale. E soprattutto non ci siamo mai fermati a riflettere se, in tutte le nostre attività, ci sia ancora un equilibrio armonico che ci permetta di vivere con gioia quello che ogni monastero dovrebbe essere: una «scuola di servizio divino» (RB Prol. 45).

In molti monasteri abbiamo ridotto o lasciato cadere alcune cose, ma non siamo stati attenti a mantenere l’equilibrio tra ciò che mantenevamo e ciò che lasciavamo andare. Di conseguenza, alcune parti della nostra vita hanno preso il sopravvento, mentre altre sono scomparse dalla scena. In alcune comunità, la preghiera ha sofferto a favore del lavoro. O la vita fraterna, ad esempio rinunciando a momenti di ricreazione o di dialogo. In altre, che potevano permetterselo, il lavoro veniva sempre più spesso delegato a persone esterne e stipendiate. Nella maggior parte delle comunità, la poca lectio divina che ancora si coltivava, almeno in teoria, è praticamente scomparsa. Per non parlare della formazione permanente. Potrei fare mille esempi, diversi per ogni comunità.

Ma quello che forse è vero per tutti noi è che per troppo tempo ci siamo abituati a vivere una vocazione monastica poco armoniosa, poco equilibrata, poco capace di portare un equilibrio umano alle nostre vite. Abbiamo dimenticato di coltivare lo straordinario equilibrio umano, fisico, psichico e spirituale che la Regola di san Benedetto ci offrirebbe se la seguissimo, non formalmente, ma come la seguivano i nostri padri e le nostre madri: come una scuola dove «colui che cerca la vita e desidera vedere giorni felici» (cf. Prol. 15; Sal 33,13) può trovarli, in un cammino di fraternità filiale e di preghiera che gli fa preferire Cristo sopra ogni cosa e in tutto. In questa scuola, dove progredisce solo chi non finisce mai di essere discepolo ascoltando attentamente con «l’orecchio del cuore» (Prol. 1), ogni elemento della vita deve contribuire all’equilibrio della persona e della comunità: preghiera, fraternità, lavoro, riposo, obbedienza, ascolto, silenzio, parola, povertà ecc. Se vogliamo che la nostra vita rimanga una sinfonia, non dobbiamo lasciar cadere nulla nel dimenticatoio. Quando la fragilità, la piccolezza, la malattia ecc. ci impongono degli adattamenti, spesso lo facciamo in modo squilibrato, tagliando intere parti della nostra vita e della nostra vocazione invece di cercare un nuovo equilibrio tra tutte le parti. Questo è il problema di molte comunità! È sorprendente che questo squilibrio si riscontri spesso anche in comunità grandi e giovani.

Mi rendo conto, infatti, che per anni abbiamo trascurato questa attenzione al mantenimento dell’equilibrio benedettino, la famosa discretio benedettina, sia nelle comunità forti che in quelle fragili. E sebbene lo abbiamo ricordato spesso, soprattutto durante le visite periodiche, non sempre c’è la volontà di correggere questo problema, come se non si comprendesse cosa significa un equilibrio di vita e di vocazione. Ogni comunità e spesso il superiore o un membro in particolare – soprattutto quando è responsabile dell’economia o di un altro settore – pensa di dover resistere e mantenere i ritmi e gli andamenti stabiliti “da sempre” o di mantenere alcuni ambiti assoluti abbandonandone altri considerati meno essenziali.

In sostanza, l’errore è credere che ciò che salva la nostra vita monastica sia un ambito particolare, un lavoro particolare, un gesto particolare e non l’equilibrio tra tutti. Spesso non ci siamo resi conto che ciò che rende una comunità attraente e significativa per le persone non è solo la liturgia, o solo il nostro lavoro, o il nostro modo di lavorare, o solo la nostra vita fraterna, o solo il nostro silenzio, o solo la nostra accoglienza ecc., ma proprio l’equilibrio armonioso con cui la preferenza di Cristo ci permette di vivere tutto con ordine e misura, con bellezza e pace, in semplicità, mettendo ogni cosa al suo posto.

Il periodo di isolamento e tutte le restrizioni di questi anni ci hanno messi un po’ con le spalle al muro. La crisi globale del Covid-19 pone a noi, monaci e monache, alcune domande urgenti: cosa abbiamo fatto della nostra vocazione? Cosa abbiamo fatto della Regola di san Benedetto, della Carta Caritatis dei primi cistercensi, della spiritualità integrale dei nostri padri e madri nella vita monastica? Perché abbiamo avuto bisogno di una crisi globale per ricordarci ciò che san Benedetto ha evidenziato per quindici secoli, per renderci conto ancora una volta che ci sta chiamando a un equilibrio di vita cristiana che possa davvero essere un «Vangelo di nuova umanità» per tutti i nostri fratelli e sorelle in questo mondo?

È importante non lasciarsi sfuggire questa provocazione – molto presente nel magistero di Papa Francesco, ad esempio nell’Evangelii gaudium, nella Laudato Si’ e in Fratelli tutti – per iniziare una buona conversione della vita dei nostri monasteri, aiutandoci reciprocamente in questo sforzo, senza temere di accettare, a favore di un nuovo equilibrio nella nostra vita, una maggiore povertà, una maggiore semplicità e quindi una maggiore umiltà.

Nel corso di questo stesso Sinodo ho anche approfondito, alla luce di quanto ho appena detto, il tema di una solidarietà più autentica tra monasteri di culture diverse, non solo dal punto di vista economico ma soprattutto formativo. Abbiamo anche affrontato il tema della sinodalità, del vero ascolto reciproco nelle comunità, tra superiori, comunità e congregazioni. Partecipare al cammino sinodale di tutta la Chiesa, come il Papa ci sollecita a fare, ci aiuterà ad approfondire il nostro carisma, offrendo la nostra esperienza a tutta la Chiesa.

Comprendere l’antropocene

5

Apertura sul mondo

Estratto di una conferenza di Bernard Lucet

tenuta all'abbazia di Ligugé (Francia) nel febbraio 2020

 

Comprendere l’antropocene[1]

 


Quando l’uomo avrà tagliato l’ultimo albero,

inquinato l’ultima goccia d’acqua,

ucciso l’ultimo animale e pescato l’ultimo pesce,

allora si renderà conto

che il denaro non è commestibile.

(Proverbio amerindo)

 

 

L’abitabilità del nostro unico luogo di vita è minacciata. È una questione tanto vitale che dovrebbe interessare tutti gli umani nel profondo. Decifrare e approfondire la situazione reale, grazie all’illuminazione degli scienziati, è la strada per incorporare in sé questa questione vitale. Abbandonare le opinioni a favore della conoscenza, uscire dalla negazione, dalla fantasia, dalla distrazione.

 

L’effetto serra

L’effetto serra è necessario, grazie ad esso la temperatura media sulla terra è di + 15° C, senza di esso sarebbe di - 18° C, quindi nessuna vita possibile. La radiazione solare arriva, parte di essa viene riflessa dalle nuvole, dai ghiacciai, dalla neve; l’energia solare viene convertita in calore che a sua volta si irradia nello spazio sotto forma di infrarossi; alcuni gas presenti nell’atmosfera bloccano l’infrarosso che rimane pertanto nella bassa atmosfera. Più vi sono di questi gas (GES), più energia si accumula, più aumenta la temperatura. L’energia supplementare, dovuta alle nostre emissioni, si accumula quasi interamente negli oceani, un po’ nel suolo e solo l’1% nell’aria.

La biosfera si sta riscaldando (+ 2,7% annuo attualmente); una tale accelerazione è dieci volte maggiore degli incrementi più rapidi del passato del pianeta da oltre un milione di anni e ha un impatto sugli ecosistemi bio e geofisici. In effetti, per ottocentomila anni il tasso di CO2 era variato poco. Purtroppo, la pressione esercitata sugli ecosistemi marini e terrestri altera la capacità dei pozzi di assorbimento del carbonio, provocando la distruzione di ciò che potrebbe aiutarci a rallentare il riscaldamento globale.

La riduzione delle emissioni è principalmente la riduzione dei combustibili fossili, che non è affatto all’ordine del giorno nei fatti! Quindi che si fa?

Molte persone pensano che sarebbe possibile fare a meno delle risorse energetiche fossili e nucleari a condizione di ottenere guadagni sostanziali attraverso la riduzione dei consumi e attraverso l’efficienza energetica dei nostri dispositivi e macchine. Forse ciò potrebbe essere ottenuto in Occidente riducendo drasticamente i nostri consumi e i nostri usi, cioè voltando le spalle alla crescita. Ma molti paesi hanno bisogno della crescita per aiutare le loro popolazioni a uscire dalla povertà, avere un’istruzione, ottenere assistenza sanitaria, nutrirsi; perché queste popolazioni potrebbero non avere accesso a una vita più confortevole, anche lontana dai nostri standard occidentali? Ecco perché, a livello globale, l’energia non diminui-rà enormemente, tanto più perché ce ne vorrà molta per aiutare il mondo ad adattarsi agli squilibri di ogni tipo che gli episodi climatici estremi infliggeranno qua e là. Si pensi alle grandi opere da realizzare a tutela delle città esposte all’innalzamento delle acque, per esempio. Questi bisogni globali di equità e adattamento alle conseguenze del riscaldamento richiederanno molta energia, non è quindi una riduzione radicale del fabbisogno energetico che verrà in soccorso ai limiti delle energie rinnovabili (intermittenza del solare ed eolico, tra le altre limitazioni).

Bisogna riconoscere che i combustibili fossili – una delle principali cause delle emissioni di GES – sono ancora insostituibili. Fare senza il petrolio sarà tanto più difficile in quanto è un’energia pratica e super concentrata. Dobbiamo il nostro stile di vita ai combustibili fossili potenti ed economici che alimentano le nostre macchine. Si guardi la forza lavoro messa in azione da un trattore nei campi con un solo serbatoio diesel e l’enorme numero di lavoratori sostituiti. Privo di tutte queste macchine – e anche il digitale è lì grazie alle macchine – ci sarebbe un’altra civiltà in un mondo molto diverso. Lasciare sotto terra l’80% dei combustibili fossili sarebbe tanto imperativo quanto difficile: doveva essere fatto molto prima…

 

Il riscaldamento climatico e le sue conseguenze

Il riscaldamento potrebbe essere anche più veloce del previsto! Una previsione precisa indica che i + 2° verrebbero raggiunti entro il 2040 a causa delle emissioni già presenti in atmosfera. Tutto quello che viene emesso ora aggiunge difficoltà a mantenere i + 2° dopo il 2040. + 2° e anche + 3° sono già inevitabili e 3° in media è 5° sui continenti, ossia una temperatura del suolo che può raggiungere 50° nell’Europa meridionale durante le ondate di caldo. Quando anche noi riuscissimo a ridurre le emissioni di gas serra negli anni a venire (e questo resta ipotetico), la nostra civiltà termo-industriale avrà conseguenze che dureranno millenni! L’azione umana ormai influenza l’evoluzione del pianeta.

Finora i grandi sconvolgimenti del nostro pianeta sono stati prodotti da eventi cosmici (e tellurici). Questo è stato il caso per i periodi glaciali e interglaciali a partire da un milione di anni. Siamo in un periodo interglaciale, chiamato Olocene, da 12.000 anni, e la temperatura non è variata che di ± 0,5° durante questo periodo! La temperatura attuale (+ 1,1°) è il massimo da 1,2 milioni di anni. Ma questo aumento comporta un cambiamento completamente sconosciuto nella biodiversità e nel clima, che si sono adattati nel corso di milioni di anni.

La novità per il pianeta è che la temperatura aumenta molto più velocemente: il tasso di CO2 è aumentato dieci volte più velocemente che durante gli eventi improvvisi verificatisi negli ultimi ottocentomila anni. I cambiamenti apportati dall’antropocene sconvolgono l’equilibrio della biosfera e portano a un “pianeta forno”. Il riscaldamento globale è la conseguenza delle scelte politiche fatte consapevolmente, ma le accelerazioni bio-geofisiche a cui è sottoposto il sistema terra fanno uscire il pianeta da stati di equilibrio conosciuti.

 

I punti di svolta degli ecosistemi: verso un pianeta forno?

Si parla già, per quanto riguarda la biodiversità animale, dell’estinzione di un sesto delle specie. Affrontiamo allora i rischi umani. Una buona presentazione del problema è fatta da Gaël Giraud[2]:

«Nella seconda metà del secolo, le condizioni letali di calore e umidità renderanno significative parti del mondo invivibili da cento a duecento giorni all’anno; le persone dovranno spostarsi da alcuni luoghi dell’India, del Sud-est asiatico, dell’Africa. La banca mondiale stima in due miliardi il numero di rifugiati climatici nella seconda metà del secolo. Io penso che sia un numero molto sottostimato: almeno tre miliardi di persone dovranno migrare. [...] Si migrerà verso i poli e anche le pandemie tropicali si diffonderanno, come la malaria, per esempio, che è apparsa in Italia. La Banca Mondiale stima in 5,2 miliardi il numero di persone che soffriranno di malaria nel 2050».

Tali sconvolgimenti sono direttamente imputabili a eventi climatici sia estremi che più frequenti come siccità, piogge, cicloni, ondate di caldo, con grave impatto sull’alimentazione e la salute. Questi eventi climatici stessi sono la conseguenza delle reazioni dei nostri ecosistemi sotto la pressione del riscaldamento, con conseguente accelerazione di questi ultimi attraverso il rilascio di CO2 e la riduzione delle funzioni dei pozzi di carbonio con, come immediata conseguenza, lo scioglimento dei ghiacciai e la massiccia distruzione delle foreste. L’accumulo di calore negli oceani è il segno di accelerazione del riscaldamento del pianeta. Gli oceani assorbono il 93% del riscaldamento di origine antropica e il 25% delle nostre emissioni di gas serra; questo enorme pozzo di carbonio si sta indebolendo a causa del riscaldamento globale climatico.

Passaggio sulle Filippine del tifone Haiyan/Yolanda nel 2013 che ha fatto più di 10.000 vittime e più di 1.600 dispersi. Qui, la scuola devastata di Tacloban, tenuta dalle suore benedettine missionarie di Tutzing (900 alunni). © AIM.

I fiumi atmosferici

Si tratta di un corridoio di vapore acqueo e calore, una specie di fiume atmosferico che riversa piogge torrenziali sull’Antartide e ne accelera la fusione[3].

I monsoni sono e saranno modificati dallo squilibrio del clima. Eventi come quelli di agosto 2018 in Kerala, India (450 morti, un milione di profughi), si ripeteranno. Il fatto è che il riscaldamento globale esacerba la differenza di temperatura sulla superficie degli oceani e quello sulla terraferma in primavera. Questo porterà a venti più forti che rinforzano il monsone. Sappiamo anche che l’aria più calda trattiene meglio l’acqua e quindi le precipitazioni saranno più intense durante questi episodi tropicali stagionali. Questo è già un fenomeno notevole nelle rilevazioni storiche[4].

Il Jet Stream, un flusso di forti venti che circola in alta quota intorno al Polo Nord, è responsabile, nelle nostre latitudini, di eventi meteorologici estremi. Il riscaldamento climatico rafforzerà fortemente questa tendenza intorno al 2050, provocando ripetute ondate di calore e inondazioni come abbiamo sperimentato negli ultimi anni[5].

La circolazione di Hadley è una banda atmosferica formata da celle simili a tapis roulants alte 15 km e larghe quasi 3.000 km; essa assicura lo scambio di calore dall’equatore ai tropici in quota. A livello equatoriale, l’aria calda e umida sale, si raffredda in quota, il che provoca forti piogge, la colonna d’aria che è diventata secca si separa in due masse spinte su entrambi i lati dell’equatore, prima di precipitare verso il suolo portando aria calda e secca e producendo il clima specifico delle regioni subtropicali. È alla loro latitudine che si trovano i più grandi deserti del pianeta (come il Sahara o l’Atacama). Con il riscaldamento globale, le celle di Hadley si sono espanse, trasformando delle nuove aree in un clima subtropicale secco, con tendenza alla desertificazione. La circolazione di Hadley provoca un’espansione della zona subtropicale e quindi un aumento della siccità, e questa va molto più veloce del previsto[6]. Questo fenomeno non è estraneo a incendi giganteschi, e siamo a solo + 1°.

El Niño è una delle principali perturbazioni climatiche mondiali che si verificano ogni due o sette anni. Le sue conseguenze sono importanti: siccità e inondazioni su vaste aree, cicloni devastanti nell’area del Pacifico, temperature globali anormalmente elevate negli anni di El Niño. Secondo studi condotti nel 2018, i fenomeni estremi legati a El Niño faranno aumentare e intensificare i rischi esistenti: dovrebbero verificarsi il doppio delle volte, proprio come i fenomeni estremi legati al dipolo dell’Oceano Indiano[7] che è una delle principali cause dei recenti incendi australiani.

La siccità nell’Australia orientale, in Indonesia, in India, in Africa del Sud, in Brasile; le inondazioni sulla costa occidentale del Sud America, nell’Africa orientale equatoriale, negli Stati Uniti meridionali; lo sbiancamento delle barriere coralline; devastanti cicloni nel Pacifico centrale: su scala globale, la temperatura media tende ad essere anormalmente alta durante gli anni interessati da questi episodi.

 


© AIM.

Conclusione

Gli ecosistemi qui menzionati sono già, per la metà di essi, in una logica di svolta. Invece di lamentarsi dello stato dei fatti, non è opportuno mettere in discussione la pertinenza dei valori della nostra civiltà industriale, ormai globale? Questi valori inducono un rapporto con il mondo distorto poiché minaccia la vita stessa. Dovremmo atterrare, come dice il filosofo Bruno Latour, per lasciare lo strapiombo dove ci siamo stabiliti e abitare il nostro pianeta in modo diverso.

Cosa possiamo fare? Questa è la domanda che si impone molto rapidamente.

Prima di parlare di soluzioni, la prima cosa è capire e sentire l’urgenza dopo essere stati chiaramente informati; non è sufficiente sapere che c’è un problema, non basta.

Ci rendiamo conto dell’urgenza solo quando sappiamo oggettivamente perché è urgente, quando si misura meglio il rischio.

Quindi un primo elemento di etica personale: confrontarsi con la realtà della questione attraverso informazioni affidabili, per affrontarne l’eccesso e la paura.

Secondo elemento: non chiudere gli occhi sui gesti personali; hanno scarso impatto sulla riduzione delle emissioni, massimo il 10% se una maggioranza molto ampia fa un grande sforzo. Quindi sarà al massimo del 5%. Ma bisogna farli comunque, anche sapendo i loro limiti, come consumare meno o viaggiare meno in aereo. Questo conta soprattutto per conformare la propria esperienza al sentimento illuminato dall’urgenza e partecipe di una forma di testimonianza.

Terzo elemento di etica personale: acquisire chiaroveggenza politica, perché ci sono poteri e sistemi distruttivi, ci sono politici fallimentari nonostante il loro “manifesto ecologismo”; riconoscerli, anche denunciarli, ha un effetto non trascurabile. Non dimentichiamo che le decisioni di riorientamento che contano per andare verso un’economia che evolve verso emissioni zero (trasporti, energia, agroecologia, urbanistica, alimentazione ecc.) sono le decisioni prese a livello di stati e gruppi di stati.

Infine, e sempre a livello di etica personale: mobilitare lo spirito e il pensiero per un comune futuro desiderabile. Nutrire il desiderio di un mondo che vive in altro modo. Considerare anche la facoltà delle emersione, o di risollevarsi, di cui possono essere capaci gli esseri viventi, soprattutto umani.

E non dimentichiamo mai: «La foresta precede i popoli, il deserto li segue»[8].

 

[1] Bernard Lucet è consulente di carriera per dirigenti professionisti.

L’antropocene, letteralmente: “l’età dell’uomo”, è un termine usato dagli scienziati per dire che le attività dell’uomo hanno ora il potere di alterare la terra e sua evoluzione. [Nota dell’editore].

[2] G. Giraud, prefazione a: A. Pottier, Comment les économistes réchauffent la planète, (Anthropocène), Paris 2016.

[3] Cf. http://www.cnrs.fr/sites/default/files/press_info/2019-10/

[4] Cf. J. Schewe et al., «Multi-model assessment of water scarcity under climate change», Proceedings of the National Academy of Sciences, 111, 2014.

[5] Cf. M. Mann, «Le Jet Stream, un amplificateur météorologique», Pour la Science, 503, 2019.

[6] Cf. https://app.getpocket.com/read/2826932240

[7] Il dipolo dell’Oceano Indiano (DOI), noto anche come El Niño indiano, è un’oscillazione irregolare delle temperature della superficie del mare, con la parte occidentale dell’oceano che diventa ogni volta più calda e più fredda della sua parte orientale. Il monsone in India è così generalmente influenzato dalla differenza di temperatura tra il Golfo del Bengala a est e il Mar Arabico a ovest. [Nota dell’editore].

[8] Questa frase è stata a lungo attribuita a François-René de Chateaubriand senza che si potesse individuarla nella sua opera; cf. J.-M. Le Bot, «Contribution à l’histoire d’un lieu commun: l’attribution à Chateaubriand de la phrase: Les forêts précèdent les peuples, les déserts les suivent» (halshs-00662692).

Francia: i monasteri ecologisti

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Testimonianze

Suor Nathanaëlle Lefoulon, osb

Monastero di Martigné-Briand (Francia)

 

Francia:

i monasteri ecologisti

 


Nel febbraio 2017, un invito insolito e improvviso è stato rivolto dall’Abbazia di Maylis a una quindicina di monasteri. Per essere più precisi, l’invito è stato rivolto a un monastero, che ne ha invitato un altro, che ne ha invitato un altro ancora... e così via. Olivetani, benedettini, cistercensi, monache ortodosse, ci siamo tutti incontrati nella fattoria di permacultura di Bec-Hellouin per un corso di tre giorni sul tema dell’ecologia integrale. Molti laici, desiderosi di aiutare i monasteri in questo movimento, si sono uniti a noi. Eravamo una cinquantina di persone!

È stata l’occasione per incontri e scambi ricchi e belli con Elena Lasida, docente di economia, fra Dominique Lang, assunzionista, Hervé Covez, francescano e agronomo e naturalmente Charles e Perrine Hervé-Gruyer, i proprietari della fattoria.

Il tema delle nostre discussioni: come vivere e mettere in pratica le questioni ecologiche nelle nostre vite, nelle nostre comunità, nelle nostre attività, sulla base dell’esempio di Charles e Perrine e dell’enciclica Laudato si’.

Siamo ripartiti con gli occhi illuminati e pieni di entusiasmo, portandoci una domanda: come possono le nostre comunità essere, a loro modo, “laboratori di ecologia integrale”? I nostri monasteri, esempi stessi di una vita in cui tutto è connesso e unificato, non potrebbero essere «archetipi di “case comuni” che mostrino al mondo cosa potrebbe significare vivere in grande»? Il problema era sapere come dare un seguito a questo bell’entusiasmo e a questa intuizione...

È stato allora che Simon, studente di Elena Lasida in economia solidale e sociale, volendo fare la sua tesi sul modo in cui i monasteri hanno recepito l’enciclica di Papa Francesco e vissuto questa dimensione di ecologia integrale, ha proposto di visitare sedici monasteri o nuove comunità, di tutte le confessioni.

Così, da aprile a luglio 2018, Simon, sempre accompagnato da un fratello o una sorella della comunità visitata, ripartiva poi con quel fratello o quella sorella nella comunità successiva. Durante queste “visite”, la creatività e l’entusiasmo, la gratuità, la comunione e il governo – grandi temi della Laudato si’ – sono stati studiati nelle quattro relazioni costitutive della persona umana, così come sono definite dall’enciclica: relazione con se stessi, relazione con gli altri, relazione con la natura e relazione con Dio.

Tutto questo lavoro ha dato vita a un bellissimo incontro con Simon ed Elena Lasida al Carmelo della Pace, a Mazille, dal 21 al 25 gennaio 2019. Erano presenti il fratello o la sorella che avevano accompagnato Simon e il superiore di ogni comunità visitata.

Durante questi giorni di lavoro, sono stati evidenziati tre equilibri in relazione ai voti monastici:

– singolare/collettivo: voto di obbedienza;

– gratuito/utile: voto di conversione dei costumi;

– interno/esterno: voto di stabilità.

A partire da qui il gruppo di Mazille ha preso il nome di «Comunione Laudato si’» ed è nata l’idea di un’ecodiagnosi dedicata ai monasteri.

Grazie a Elena Lasida, due sorelle e un fratello delle comunità Laudato si’ (l’abbazia di Landevennec, la comunità Chemin neuf e il monastero di Martigné-Briand) hanno incontrato due suore domenicane di Chalais e Estavayer, già impegnate in un progetto simile. L’avventura con l’associazione «Eglise verte» era iniziata!

Per realizzare questa ecodiagnosi sono stati necessari quasi due anni di lavoro e dal 31 maggio al 31 luglio 2021 la «Comunione Laudato si’» e le nuove comunità hanno accettato di testarla prima di metterla definitivamente online sul sito «Eglise verte».

Oggi il gruppo di lavoro, che ha incluso una suora diaconessa di Reuilly, si riunisce regolarmente via Zoom per correggere, modificare e integrare le osservazioni raccolte durante la fase sperimentale. Speriamo di poter mettere online la versione finale sul sito «Eglise verte» verso l’aprile prossimo.

Celebrare la creazione di Dio piantando alberi

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Articolo non tradotto. Visualizzazione in inglese, francese o altra lingua.

I monasteri per una economia alternativa e sostenibile

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Economia e vita monastica

Benoît-Joseph Pons

 

I monasteri per una economia

alternativa e sostenibile[1]

 


Principi dell’economia monastica

In che modo un gruppo di uomini o donne, che praticano uno stile di vita basato su principi economici opposti a quelli del modello corrente, può ispirare soluzioni ai problemi che incontra il mondo attuale? È questo l’argomento della seguente presentazione.

La vita monastica si basa su quattro pilastri: la preghiera, il lavoro, la lectio divina e la vita comunitaria. La lectio è la lettura di un testo di carattere spirituale, prolungata da una riflessione personale, una meditazione ed eventualmente una preghiera ispirata al testo. I monaci vi dedicano generalmente da una a due ore al giorno. L’economia monastica si articola intorno a questi quattro pilastri e si basa su due principi essenziali: la disappropriazione e l’economia dei bisogni.

 

La disappropriazione

Nella Regola di san Benedetto, la disappropriazione si fonda sull’obiettivo di «nulla preferire all’amore di Cristo». Essa si esprime in modo pratico attraverso i due precetti:

«Prima di tutto, nel monastero bisogna strappare fin dalle radici questo vizio [di proprietà]»2,

e

«Tutto sia comune a tutti – come sta scritto – e nessuno dica o ritenga qualcosa sua proprietà» (RB 33,6).

La Regola dice inoltre:

«Nessuno presuma di dare o ricevere qualche cosa senza il permesso dell’abate, né di avere qualcosa di proprio, assolutamente nulla: né libro, né tavoletta per scrivere, né stilo o penna: nulla affatto, poiché il monaco non ha neppure il diritto di disporre del proprio corpo e della propria volontà» (RB 33,2-4).

In altre parole, il monaco non deve possedere nulla in proprio, né beni materiali, né beni immateriali. Non disporre del proprio corpo conduce alla castità, non disporre della propria volontà conduce all’obbedienza. In pratica, il non possedere i beni che gli vengono messi a disposizione obbliga il monaco a prendersene la massima cura. La Regola chiede al cellerario di trattare «tutti gli oggetti e tutti i beni del monastero come i vasi sacri dell’altare» (RB 31,10). Aggiunge inoltre:

«Se qualche fratello tratta con poca pulizia o con trascuratezza le cose del monastero, venga ripreso» (RB 32,4).

La disappropriazione monastica genera la necessità della solidarietà e della non-competizione professionale. Un incarico è un servizio di cui nessuno è proprietario. Viene assegnato dall’abate, secondo le capacità della persona e le esigenze del monastero. Non dà luogo ad alcun vantaggio personale.

Molti monasteri praticano la «collazione degli incarichi». Ogni tre anni, o quando si rende necessario, ogni monaco rimette il suo incarico all’abate il quale decide se rinnovarlo in quello stesso incarico o se dargliene un altro. Non si tratta di una decisione arbitraria; è maturata insieme con il Consiglio – i monaci che aiutano l’abate nelle scelte – e consultando gli interessati. Ma ogni monaco sa che può, a un certo punto della vita, occupare una posizione importante e successivamente vedersi assegnare una funzione molto più modesta. In monastero non si fa carriera.

L’idea di non mettere la competizione al centro delle relazioni interpersonali è ampiamente sviluppata nell’enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti, idea che si ispira a san Francesco:

«Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti» (FT 4).

 

L’economia dei bisogni

L’economia dei bisogni è definita nel capitolo 34 della Regola, intitolato: «Non tutti devono ricevere il necessario in misura uguale». Si basa sull’idea di un ritorno al tempo idilliaco dei primi cristiani descritto negli Atti degli Apostoli: «Veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,35; RB 34,1).

Non si devono considerare tutte le persone come tra loro identiche. Al contrario, ognuno è diverso e ha esigenze specifiche. La Regola dice:

«Chi ha meno bisogno renda grazie a Dio e non si rattristi; chi, invece, ha bisogno di più, si tenga umile per la sua infermità anziché inorgoglirsi per la benevola comprensione che gli viene usata; e così tutte le membra saranno in pace» (RB 34,3-5).

L’economia dei bisogni monastici ha due componenti: ognuno riceve secondo i suoi bisogni e ognuno contribuisce secondo i suoi mezzi. Pertanto, non si dà la stessa cosa a ogni membro della comunità. Gli si dà ciò di cui ha bisogno, in funzione della sua situazione. Nell’organizzazione del lavoro dei monaci chi è giovane e dotato dà tutto quello che ha, chi è più anziano e meno dotato contribuisce secondo le sue possibilità.

Nei negozi o nei laboratori monastici, il lavoro del monaco dà luogo a una retribuzione della comunità. Ma questa retribuzione non è legata al valore del lavoro svolto. È calcolata in riferimento ai bisogni di una persona che lavora, in modo identico, tanto che si tratti di un lavoro semplice quanto di uno molto qualificato.

 

L’economia monastica come economia alternativa e sostenibile

Questi due principi operativi fanno del monastero una società particolare. Non è un museo di usi e costumi di altri tempi, perché è un luogo in cui si vive attualmente. Non è un laboratorio, perché non vi si fa sperimentazione sociale. È il luogo di un’economia alternativa, perché da qui vengono poste al mondo delle domande sui suoi modi di procedere mentre si cerca di ispirare soluzioni per i nuovi problemi che si presentano. Mi limiterò qui ad esaminare la questione del lavoro.

Monastero di Imari, Giappone. © AIM.

Il lavoro

Nel mondo, il lavoro serve per produrre dei beni e per assicurare una retribuzione che permette di procurarsi altri beni. È la base del funzionamento dell’economia liberale. Tale scambio di beni è un’opportunità di comunicazione tra le persone. Il lavoro contribuisce a stabilire una gerarchia sociale ed è un elemento di riconoscimento, da parte degli altri e di se stessi.

Karl Marx definisce tre forme di alienazione riguardanti il lavoro: quando la retribuzione non rappresenta che una piccola parte del valore dei beni prodotti, quando il lavoro non mira che a ottenere un salario, quando il lavoratore non può svolgere un’attività fisica o intellettuale che sia libera.

In monastero, la disappropriazione genera una dissociazione completa tra lavoro e retribuzione. Con questo modo di funzionamento, scompaiono le tre forme di alienazione sul lavoro: poiché il monaco non riceve compenso, non lo confronta al valore di ciò che ha prodotto; inoltre, il lavoro che svolge non mira principalmente a ottenere un salario; infine, il lavoro monastico è generalmente di tipo artigianale, il che dà al lavoratore maggiore libertà di azione rispetto a un lavoro a catena.

Si possono attribuire al lavoro tre finalità: lavorare per guadagnarsi da vivere, lavorare per essere riconosciuti dagli altri e da se stessi e, se si è cristiani, lavorare per partecipare all’opera creatrice di Dio.

 

Lavorare per guadagnarsi da vivere

John Galbraith evidenzia un paradosso:

«La parola “lavoro” si riferisce sia a coloro per i quali esso è estenuante, noioso, sgradevole, sia a coloro che chiaramente lo svolgono con piacere e non vedono in esso alcuna costrizione. “Lavoro” designa al contempo l’obbligo imposto ai primi e la fonte di prestigio e di alta remunerazione che desiderano ardentemente gli altri e di cui godono»[3].

Nell’economia liberale le retribuzioni sono definite dalle uniche due forze riconosciute: il Mercato e il Diritto. È il Mercato che definisce globalmente i valori; il Diritto li inquadra in modo da limitare gli abusi: salario minimo garantito, remunerazione dei tirocinanti, limitazione dell’orario di lavoro, divieto del lavoro minorile ecc. Il Diritto è relativamente efficace nella regolamentazione dei salari bassi. È totalmente inefficace nel controllare i redditi alti.

I monaci del nostro tempo non vogliono vivere di pubblica carità; sono quindi consapevoli della necessità di lavorare per sostenere la propria comunità. Ma poiché il lavoro non procura alcun vantaggio personale, alcuna retribuzione e neppure alcuna particolare considerazione, la natura del lavoro svolto diventa meno importante: occuparsi dell’economato o spazzare il chiostro non è fondamentalmente diverso. Sono solo servizi corrispondenti alle capacità della persona e al bisogno della comunità. Di conseguenza, non c’è competizione per i posti.

 

Lavorare per essere riconosciuti

Accanto al salario, il riconoscimento è una motivazione importante. Ma già l’importo dello stipendio è, in pratica, un elemento di questo riconoscimento. La ricerca di riconoscimento sul lavoro si traduce spesso nella ricerca di potere, sia per l’immagine che si dà di sé, sia per i vantaggi materiali che ne derivano. Nel mondo, il potere si misura dal numero di persone che si hanno sotto di sé, dal giro di affari, dal fatturato ecc. L’immagine che si offre alla propria famiglia e agli amici è molto importante e può influenzare notevolmente il comportamento. Inoltre, dalla sensazione di essere utili alla propria azienda, famiglia, comunità, si ricava anche un auto-riconoscimento personale.

Contrariamente alla retribuzione, il lavoro come mezzo di realizzazione personale è importante per i monaci. Chi fa un lavoro utile alla comunità apprezza il riconoscimento di quest’ultima, ma se non lo ottiene, per lui è un’ascesi.

 


Impianto elettrico (Togo).

Lavorare per partecipare all’opera creatrice di Dio

Secondo la concezione cristiana, l’uomo è stato creato a immagine di Dio.

«Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”» (Gen 1, 26).

Il fatto che l’uomo sia stato creato a immagine di Dio gli conferisce una dignità particolare. Questa dignità non riposa sui suoi beni, sui suoi successi, sulla sua apparenza. L’autorità che gli è attribuita è a immagine di quella di Dio, è un’autorità dell’amore. La teologia della creazione continua si oppone all’idea che la creazione sia solo la costruzione di un’immensa macchina che funzionerebbe da sola. Dio continua a intervenire nel mondo e l’uomo, creato a sua immagine, è chiamato a contribuire a questo intervento.

L’uomo, creato a immagine di Dio, partecipa, attraverso il lavoro, all’opera del Creatore, e continua, nella misura delle sue possibilità, a svilupparla e completarla, progredendo nella scoperta delle risorse e dei valori inclusi nel mondo creato.

Quindi, il lavoro, soprattutto nella sua concezione monastica, non è semplicemente utilitaristico e individualistico: guadagnarsi da vivere e ottenere riconoscimenti. È realizzare un’opera, nel senso dato da Hannah Arendt. È una visione comunitaria, perché ciò che conta è ciò che si apporta al mondo.

Nel XIX secolo si è sviluppata l’espressione «lavoro da benedettino», per indicare un lavoro a lungo termine, che richiede molta pazienza. È la preoccupazione per un lavoro ben fatto, che riprende l’obbligo di prendersi cura di tutti i beni del monastero.

La concezione benedettina del lavoro suppone di dedicarsi a ciò che è utile. Evitare di occuparsi con zelo e pietà di cose “da nulla”. Dom Bertrand Rolin spiega, a proposito del capitolo 48 della Regola, intitolato «Il lavoro manuale quotidiano»:

«La cosa importante di questo capitolo è che si tratta di un lavoro “vero”. E il lavoro “vero” è quello che è “da fare”, dice la Regola, vale a dire ciò che è utile alla vita della comunità e alla sua azione, qualunque sia la sua valorizzazione se si giudica secondo i criteri della società»[4].

Quante volte facciamo delle cose che sono completamente inutili, ma che ci faranno apprezzare dagli altri perché mostrano i nostri talenti?

 

Lavoro e retribuzione

Nell’economia monastica c’è una dissociazione totale tra lavoro e retribuzione, cosa che non accade nel mondo. In monastero, l’abate deve trovare una persona per ogni lavoro e dare a ciascuno un lavoro. Per principio, non c’è disoccupazione. Ciò ha due conseguenze. La prima è che l’esistenza di un lavoro non dipende dall’equilibrio tra ciò che costa e ciò che apporta. Anche se coltivare un orto è più costoso che comprare le verdure al supermercato, il fatto che dia un lavoro a qualcuno merita di essere preso in considerazione. La seconda riguarda la questione della disoccupazione e dell’indennità di disoccupazione. Viene data la priorità alla riduzione della disoccupazione o all’indennità? La politica tradizionale può far pensare che ci si possa in parte sbarazzare della lotta contro la disoccupazione attraverso una buona indennità per i disoccupati. Le azioni contro la disoccupazione sembrano spesso pilotate soprattutto dalla necessità di abbassare il costo delle indennità. Ora, come abbiamo visto, il lavoro è sicuramente una fonte di reddito, ma non solo. Indennizzare i disoccupati è necessario, ma non basta: bisogna dare loro un lavoro. È una questione di dignità come lo esprime Papa Francesco in Fratelli tutti.

 


Laboratorio di marmellate al monastero di Quilvo (Cile). © AIM.

Conclusione sul lavoro

La concezione monastica del lavoro non si applica unicamente ai monaci. Essa ispira anche gli oblati, quei laici che, legati a una comunità, cercano di vivere la Regola nel mondo. Si basa sull’insegnamento della tradizione, ma anche su un adattamento al mondo di oggi. I monaci non esitano a utilizzare macchine ultramoderne nei loro atelier. Tale concezione ha la pretesa di suggerire al mondo una via di progresso, di dare a tutti – cristiani o non cristiani – dei consigli su diversi aspetti.

Prendo qui in considerazione il concetto che il lavoro non deve essere unicamente una fonte di reddito. Il lavoro deve essere un elemento di sviluppo personale. E questo sviluppo personale passa attraverso il fatto di essere utili alla comunità. Per un lavoratore in fondo alla scala è necessario poter essere fiero di quello che fa. Per qualcuno che ha delle responsabilità gerarchiche è necessario organizzare il lavoro dei suoi collaboratori in modo che essi possano sviluppare le loro capacità in quello che fanno. Per i politici e le amministrazioni non basta accontentarsi di indennizzare la disoccupazione, bisogna ridurla.

D’altra parte, il lavoro deve dare alla persona quanto occorre per vivere dignitosamente. I movimenti del Commercio Equo o delle AMAP[5] si adoperano in questa direzione.

Il lavoro non deve essere un luogo di competizione, ma un luogo di cooperazione.

Infine, lavorare di più, guadagnare di più, per consumare di più non è un approccio responsabile, una volta che ci si è procurato il necessario. Ciò solleva la questione del posto della crescita nelle nostre analisi economiche. E anche il problema della pubblicità. Un aspetto moderno della clausura monastica è quello di proteggere dagli incentivi al consumo, in particolare limitando l’accesso a Internet. La pubblicità non è un male in sé, ma l’uso che se ne fa deve essere controllato.

 

La ricezione dell’enciclica Laudato si’ nei monasteri

La pubblicazione da parte di Papa Francesco dell’enciclica Laudato si’ ha suscitato un’ondata di entusiasmo negli ambienti ecologisti, anche non cristiani. Vi hanno trovato una conferma del loro discorso, passando volutamente sopra i punti che li disturbavano, come la difesa della vita. Paradossalmente, negli ambienti monastici, l’enciclica ha impiegato del tempo per affermarsi, mentre in genere i documenti del magistero sono molto ben accolti. Per cercare di capire questo paradosso, avanzo un’ipotesi: mentre i militanti ecologisti hanno visto nell’enciclica una vera e propria rivoluzione della Dottrina Sociale della Chiesa, i monaci, inizialmente, non vi hanno visto che una nuova espressione di ciò che essi vivono quotidianamente fin dalle origini.

La vita monastica è una vita di preghiera, essenzialmente comunitaria, basata sul canto dei salmi. Il salterio contiene 150 salmi; i monaci lo cantano, normalmente per intero, ogni settimana. Diversi autori hanno lavorato sull’ecologia nei salmi. Alcuni parlano di salmi ecologici, altri di salmi della natura o di salmi della creazione. Cinquantun salmi rientrano in almeno una di queste tre categorie; in altre parole, una parte significativa del salterio è ecologica. Pertanto, un monaco, salvo cantare senza preoccuparsi di ciò che canta, è necessariamente un ecologista, magari senza saperlo o riconoscerlo.

Dopo un certo tempo di maturazione, molti monasteri hanno adottato la Laudato si’, quando si sono resi conto che si trattava di una formulazione brillante di ciò che essi cercavano di vivere e che li aiutava a progredire.


Serra dei benedettini di Thien Binh (Vietnam). © AIM.

Il principale contributo dell’economia monastica alla questione ecologica è la «felice sobrietà». È un’espressione sviluppata da Pierre Rabhi[6], ma che, in un certo senso, è costitutiva della spiritualità monastica sin dalle sue origini. Per Pierre Rabhi, le risorse del pianeta sono limitate. Le risorse fossili non sono rinnovabili e la capacità della biosfera di assorbire l’inquinamento è limitata.

La nozione di limite è costitutiva della fede cristiana; già nella Genesi Dio disse: «Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). Questa nozione di limite si oppone all’idea che la tecno-scienza darà all’uomo un potere illimitato sul suo ambiente. Nella Laudato si’, Papa Francesco afferma che lo sviluppo tecnologico è un bene, ma solo a condizione che sia «accompagnato da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza».

Pierre Rabhi afferma che la crescita economica è irrealistica e assurda: è un modello portatore di morte. È quindi necessario instaurare una politica di civilizzazione basata sulla sobrietà. Dobbiamo soddisfare i nostri bisogni vitali con i mezzi più semplici e sani. La Laudato si’ dice la stessa cosa parlando della necessità della conversione dei cuori. Detto in termini cristiani, la felice sobrietà di Pierre Rabhi equivale al rispetto del creato e alla sollecitudine per le generazioni future alle quali dobbiamo lasciare un ambiente vivibile.

Ma la felice sobrietà monastica differisce da quella ecologista. Mentre gli ecologisti la basano essenzialmente sulla protezione delle risorse naturali e dell’ambiente, i monaci la basano anche su un aspetto sociale: consumare il superfluo equivale a privare altre persone del necessario. Nella visione ecologista, è necessario lavorare di meno per distruggere meno risorse. È la decrescita. Nella visione monastica non si tratta tanto di lavorare per produrre di più quanto di lavorare per soddisfare i propri bisogni o quelli della comunità, perché è necessario poter condividere con coloro che non hanno i mezzi per produrre tutto ciò di cui hanno bisogno.

 

Conclusione

In questa breve presentazione dell’economia monastica come economia alternativa e sostenibile abbiamo identificato alcuni aspetti che possono essere di ispirazione per il mondo. Il valore del lavoro come mezzo di sviluppo personale, i potenziali danni della concorrenza nei rapporti economici, la ricerca del consumo come fonte di felicità. Ciò conduce al valore dell’idea di felice sobrietà che non deve essere considerata soltanto sotto l’aspetto ambientale, ma anche sotto quello sociale. Nel prolungamento di questa proposta, si dovrebbe affrontare la questione delle disuguaglianze sociali. La vita monastica permette di evitare la trappola di uno squilibrio insopportabile. L’economia dei bisogni interroga fortemente l’attuazione del principio di uguaglianza.

La parola «pax» è il motto benedettino. San Benedetto presenta la pace come un bene che dobbiamo cercare intensamente. È la parola che meglio riassume l’armonia, caratteristica dell’esistenza del monaco. Nel prologo della Regola, san Benedetto chiede di cercare la pace e di perseguirla incessantemente; questa ricerca della pace è associata alla ricerca di Dio, come due obiettivi che si fondono l’uno nell’altro. L’economia monastica, basata sulla disappropriazione e l’economia dei bisogni, alle quali si aggiungono la non-concorrenza e la felice sobrietà, offrono i mezzi per ottenere questa pace. Ed è la pace che rende l’organizzazione sostenibile.

 

 

[1] Benoît-Joseph Pons francese, è un agronomo. Ha iniziato la sua carriera nell’industria come ricercatore in microbiologia alimentare. È stato poi un imprenditore nel campo della chimica farmaceutica. Ha conseguito una licenza in teologia e un dottorato in economia presso la Facoltà di Scienze Sociali ed Economiche dell’Institut Catholique di Parigi. Attualmente è ricercatore presso la cattedra Jean Bastaire dell’Université Catholique di Lione. Ha scritto un libro su: «L’économie monastique. Une économie alternative pour notre temps» (2018).

[2] Regola di San Benedetto (di seguito RB) 31,1.

[3] J. Galbraith, Les mensonges de l’économie - Vérité pour notre temps, Paris, Bernard Grasset, 2004, p. 34.

[4] Dom B. Rollin, Vivre aujourd’hui la Règle de saint Benoît - Un commentaire de la Règle, Bégrolles en Mauge, Bellefontaine, coll. Vie monastique n° 16, 1983, p. 54.

[5] Le AMAP ˗ Associazioni per il mantenimento dell’agricoltura contadina ˗ hanno lo scopo di promuovere l’agricoltura contadina e biologica che fa fatica a sopravvivere di fronte all’agroindustria. Il principio è quello di creare un legame diretto tra agricoltori e consumatori, i quali si impegnano ad acquistare la produzione a un prezzo equo e pagando in anticipo. [Nota dell’Editore].

[6] Pierre Rabhi (1938-2021), agricoltore, saggista, conferenziere francese di origine algerina, è considerato uno dei pionieri dell’agro-ecologia che mira a rigenerare l’ambiente naturale escludendo pesticidi e fertilizzanti chimici. Le sue numerose opere hanno riscosso un grande successo. Ha co-fondato il movimento cittadino Colibris che chiede azioni locali, quali gli orti condivisi, le fattorie didattiche o ancora i circuiti brevi di approvvigionamento. È anche contestato per i suoi metodi non scientifici, per i suoi agganci con la filosofia esoterica sviluppata da Rudolf Steiner negli anni ’20 (l’antroposofia), per i suoi rapporti con i capi di grandi gruppi industriali. [Nota dell’Editore].

Il cellerario secondo la regola di San Benedetto

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Il monachesimo cistercense di rito Guèze

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Viktor Josef Dammertz (1929-2020)

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Grandi figure della vita monastica

Padre Cyrill Schäffer, osb

Monastero Sankt Ottilien (Germania)

 

«Per te, con te»

Viktor Josef Dammertz (1929-2020)

arciabate, abate primate, vescovo, monaco

 


Josef Dammertz è nato l’8 giugno 1929 a Schaephuysen, nel Basso Reno. La famiglia materna era originaria dei Paesi Bassi. Il padre Wilhelm Dammertz è cresciuto in una fattoria di Schaephuysen, fino a quando non rilevò, dopo il matrimonio con Engelina Schepens, un negozio di alimentari che suo suocero, già deceduto, aveva allestito. Ebbero due figli, Josef e Marga.

Molto coinvolto nell’associazione giovanile cattolica Neudeutschland dove approfondì la sua fede e coltivò l’arte del servizio, Josef, giunto all’ultimo anno, annunciò ai suoi genitori di voler diventare sacerdote. Così, nella seconda metà del 1950, entrò nel Collegium Borromaeum, il seminario della diocesi di Münster. Continuò gli studi a Innsbruck, dove risiedette presso il collegio dei Gesuiti Canisianum. All’università ascoltò professori famosi come Andreas Jungmann e Hugo e Karl Rahner. Sin dai tempi di Innsbruck conobbe, durante il terzo anno di studi, il monastero missionario di Sankt Ottilien, in Alta Baviera, sentendosi attratto dallo spirito della Chiesa universale e dalla vita religiosa che vi regnava.

Josef Dammertz entrò quindi a Sankt Ottilien il 12 settembre 1953, dove ricevette il nome di Viktor, in memoria del martire paleocristiano Vittore di Xanten. Dopo la prima professione, proseguì gli studi teologici presso l’Università Benedettina di Sant’Anselmo (Roma). Dopo aver terminato il suo cammino romano con la laurea, fratel Viktor venne ordinato sacerdote nel 1957. Il suo motto di sacerdote novello esprime chiaramente la sua visione di un sacerdozio di servizio: «Sacerdote di Gesù Cristo al servizio degli uomini».

Gli fu chiesto di studiare diritto canonico, perché l’abate dell’epoca, Dom Suso, aveva bisogno di un segretario con conoscenze in questo campo. Conseguì il dottorato summa cum laude con una tesi sul «Diritto costituzionale delle congregazioni monastiche benedettine nella storia e nel presente». In fondo, con questa tesi, e date le sue capacità intellettuali, si sarebbe potuta aprire per lui una carriera accademica, ma ciò non venne mai preso seriamente in considerazione.

Dal VI Capitolo Generale di Sankt Ottilien nel 1960, Padre Viktor fu chiamato alla carica di Segretario della Congregazione, e l’Arciabate Suso lo nominò contemporaneamente suo segretario personale. Anche se il ruolo del segretario abbaziale è piuttosto secondario, Padre Viktor fu in grado di esercitare un’influenza moderatrice sul suo superiore in molti modi e di bilanciare le tensioni tra l’Arciabate e la comunità. In qualità di esperto di diritto canonico della Congregazione, Padre Viktor svolse un ruolo fondamentale nella revisione delle Costituzioni dei Missionari Benedettini, adottate nel 1970. La sua collaborazione consultiva fu apprezzata anche da altre Congregazioni benedettine e non. In particolare, partecipò più o meno intensamente all’elaborazione dei diritti propri postconciliari di diverse Congregazioni benedettine.

All’inizio del 1975 a causa di un grave cancro, l’Arciabate Suso, a soli sessantacinque anni, dovette lasciare il suo incarico. Quando l’8 gennaio 1975 Padre Viktor fu eletto suo successore, non fu una grande sorpresa.

In qualità di nuovo abate del monastero, Padre Viktor continuò a prestare cure personali al suo predecessore, il quale aveva tenuto duro fino all’elezione del suo successore, ma che pochi giorni dopo, il 12 febbraio, soccombette al cancro.

L’Arciabate Dammertz scelse come motto: «Iter para tutum». Questa frase programmatica tratta dall’inno «Ave maris stella» esprime da un lato la sua pietà mariana, ma anche la consapevolezza di vivere tempi di tumultuosi sconvolgimenti, in cui occorre una stella che ci guidi.

Assumendo il ministero, l’Arciabate Viktor entrò in una fitta rete di obblighi e soprattutto di aspettative. Tra questi: gli interventi nella diocesi di Augusta durante messe solenni, le cresime ed eventi di ogni genere, nel monastero stesso con i suoi numerosi luoghi annessi come la scuola, le parrocchie, le cinque case dipendenti, le imprese e le officine, e, ovviamente, i monasteri della Congregazione che attendevano la guida del presidente della Congregazione, soprattutto nelle Chiese giovani. Sebbene il mandato dell’Arciabate Viktor durò solo due anni e otto mesi, in questo tempo egli fu in grado di aiutare a dare una certa stabilità alla Congregazione nel tumulto post-conciliare. Nel proprio monastero poté istituire l’integrazione del liceo nel lavoro scolastico della diocesi di Augusta, che garantì la sopravvivenza della scuola.

Nel settembre 1977 l’Arciabate Viktor partecipò al congresso degli abati della Confederazione Benedettina a Roma, dove era già da anni segretario della Commissione canonica e aveva svolto un ruolo determinante nella riformulazione del diritto proprio. Oltre alla questione del futuro del Collegio Sant’Anselmo, il congresso si era soffermato anche sul nuovo diritto canonico dei Benedettini.

L’Arciabate Viktor, come canonista, tenne una presentazione impegnata e innovativa su questo argomento. Poco dopo, il 20 settembre, l’Abate Primate Rembert Weakland sorprese gli abati riuniti annunciando di essere stato nominato arcivescovo di Milwaukee e, quindi, che si sarebbe dimesso da Abate Primate con effetto immediato. Furono organizzate nuove elezioni per trovare un successore. Dal 22 settembre i voti degli abati confluirono sull’Arciabate di Sankt Ottilien che non solo era a capo di uno dei più grandi monasteri dell’ordine benedettino, ma aveva anche la competenza di diritto canonico di cui c’era urgente bisogno. La comunità di Sankt Ottilien fu informata delle operazioni in corso a Roma. Ma quando il priore Paulus Hörger inviò un fax a nome della comunità con queste parole: «Non accettare in nessun caso», l’Arciabate aveva già risposto favorevolmente al voto del Congresso lasciando il suo incarico di abate del monastero e di presidente della Congregazione di Sankt Ottilien.

Negli anni seguenti, l’Abate Primate Viktor riuscì a calmare un po’ i turbolenti rapporti all’interno del Collegio benedettino. Ebbe al suo fianco collaboratori altamente qualificati nella persona del rettore Magnus Löhrer (1928-1999) e del priore Gerhard Békés (1915-1999). Nonostante il calo del numero degli studenti dell’Ordine, l’Università dell’Ordine conobbe un periodo di prosperità scientifica grazie a un certo numero di docenti di qualità che insieme produssero, tra l’altro, l’opera di riferimento postconciliare «Mysterium Salutis» (1965-1976).


Prima riunione panafricana anglofona presso il grande seminario di Harare (Zimbabwe) nel 1991 (68 partecipanti). Aveva per tema: «La formazione delle persone nella traditione benedettina». © AIM.

Successivamente, l’Abate Primate Viktor poté fornire molteplici aiuti durante le necessarie revisioni delle Costituzioni della Congregazione; partecipò alla revisione del diritto religioso e fu membro della Commissione per l’interpretazione autentica del diritto canonico.

Durante i quattordici anni trascorsi alla guida della Confederazione Benedettina, rieletto due volte, l’Abate Primate Viktor visitò più di 750 comunità femminili e maschili in tutto il mondo nel corso di innumerevoli viaggi. Uno dei momenti più importanti del suo mandato fu l’organizzazione del Grande Giubileo di San Benedetto nel 1980, durante il quale venne celebrato il 1500° anniversario della nascita del padre dell’Ordine Benedettino. In questa occasione si incontrarono a Roma 500 abati della famiglia benedettina. A Sant’Anselmo, la biblioteca situata nell’ex cripta della chiesa abbaziale è il principale lascito architettonico dell’attività del Primate.

In un’intervista del 1992, espresse la sua concezione del ministero dicendo che l’Abate Primate dovrebbe promuovere nei monasteri benedettini la consapevolezza di far parte di una «grande comunità mondiale».

Di fronte alle forze centrifughe all’interno dell’Ordine, l’Abate Primate cercò di promuovere l’unità senza sminuire la legittima e vitale diversità in seno allo stesso Ordine.

Il suo servizio di mediazione comprendeva anche la costruzione di ponti di dialogo tra le suore e le monache dell’Ordine che, nella concezione del tempo, erano separate in due mondi diversi. Nei suoi sforzi di mediazione, l’Abate Primate sostenne il mutuo riconoscimento delle legittime opzioni benedettine, paragonandole a Maria e Marta.

Suggerì la riunione dei separati segretariati per le monache e per le suore benedettine, ciò è stata una pietra miliare importante verso la nascita dell’attuale Communio Internationalis Benedictinarum, la Commissione Internazionale delle Benedettine (CIB).

Al congresso degli abati del 1992, l’abate di Collegeville, Jerome Theisen (1930-1995), fu eletto a succedergli. Dopo la scadenza del suo mandato il 20 settembre 1992, P. Dammertz aveva infatti programmato di ritirarsi nel suo monastero, anche se si parlava di una sua nomina alla Congregazione vaticana per i religiosi. Tuttavia, durante gli esercizi privati prima del Natale del 1992, il Nunzio Apostolico lo chiamò per dirgli che Papa Giovanni Paolo II lo aveva nominato 78° vescovo di Augusta.

Nella sua residenza ufficiale, il Palazzo Vescovile di fronte alla cattedrale di Augusta, Mons. Viktor costituì una piccola comunità domestica con il suo segretario, il dottor Christian Hartl, sua sorella Marga e due suore francescane di Maria Stern, con le quali celebrava la preghiera quotidiana e l’Eucaristia. Egli stesso descrisse la condizione di vita come quella di un «piccolo convento» trovando piacevole svolgere un po’ di vita monastica comunitaria nell’episcopio.

Tra gli eventi significativi del suo mandato, vale la pena citare alcuni che sono stati particolarmente a cuore allo stesso vescovo Viktor Josef. Tra questi, la firma della «Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione» il 31 ottobre 1999 ad Augusta, il grande giorno della fede in occasione dell’Anno Santo 2000 al Rosenaustadion di Augusta e la canonizzazione di Crescentia von Kaufbeuren a Roma il 25 novembre 2001 e, proprio al termine del suo mandato, «l’anno vocazionale» da lui proclamato nel dicembre 2003, durante il quale si invitava certo a pregare per le vocazioni religiose e alla vita sacerdotale, ma soprattutto, a scoprire che ogni cammino di vita di fede è una vocazione e un dono.

Come mostrano eventi così diversi, il vescovo Viktor poteva e voleva muoversi su registri diversi che comprendessero sia la pietà popolare così pure nuove aperture agli sviluppi teologici ed ecclesiastici dei nuovi movimenti a livello mondiale.


Incontro di padre Viktor Dammertz con Papa Giovanni Paolo II.

In occasione del suo 75° compleanno, l’8 giugno 2004, Papa Giovanni Paolo II accolse la richiesta di dimissioni del vescovo di Augusta, da vescovo emerito poté ritirarsi in un luogo che era diventato per lui un luogo di riposo familiare dopo molte vacanze: il monastero benedettino e il villaggio per bambini di Saint-Alban, dove servì le suore come direttore spirituale della Casa. Sua sorella Marga, che era già al suo fianco quando era vescovo, lo accompagnò nel suo ritiro a Saint-Alban. Molti amici e compagni di viaggio lo visitarono lì, fino a quando nel gennaio 2015 una crescente debolezza dovuta all’età lo spinse a trasferirsi nell’infermeria di Sankt Ottilien. Lì lo si poteva incontrare regolarmente nell’ampio soggiorno intento a sfogliare una pila di libri e riviste appoggiate al suo fianco.

Un improvviso calo delle forze gli impedì di assistere all’ordinazione episcopale del suo secondo successore e dopo alcuni giorni di crescente debolezza si congedò in piena coscienza. I funerali nella cattedrale di Augusta furono presieduti dal cardinale Reinhard Marx, mentre il suo successore, Bertram Meier, tenne l’omelia. Il defunto riposa ora nella cripta della cattedrale.

 


Dopo questo cenno biografico, è ora opportuno esaminare più da vicino l’impronta benedettina del religioso e vescovo.

Durante una prima intervista da nuovo vescovo, gli venne chiesto in modo un po’ provocatorio se il mondo monastico di per sé chiuso fosse un’utile preparazione alle vaste responsabilità di vescovo. Il nuovo vescovo, rispondendo, riconobbe che l’ambito della vita monastica era naturalmente molto diverso dalla pastorale diocesana. Ma che portava anche vantaggi legati all’esperienza. Tra questi, il vescovo citò l’importanza dell’approfondimento spirituale per il futuro della Chiesa e la valorizzazione della diversità nell’unità, poiché ciò richiede l’accettazione reciproca e il dialogo. Alla fine del suo mandato, il vescovo Viktor sottolineò questi benefici in modo ancora più deciso:

«La vita monastica secondo la Regola di san Benedetto mi ha segnato profondamente, e i valori e gli atteggiamenti fondamentali che mi sono stati trasmessi hanno giovato anche a me come vescovo. L’immagine che Benedetto dà dell’abate può facilmente essere applicata a quella di vescovo. La ricerca di un equilibrio tra ora et labora, tra preghiera e lavoro, è anche una sfida permanente per il vescovo (...). La virtù della saggia moderazione – Benedetto la chiama discretio considerandola madre di tutte le virtù (RB 64,19) – impedisce al vescovo di cercare la soluzione dei problemi in posizioni estreme».

Basandosi sull’immagine benedettina dell’abate, Viktor-Josef riuscì a stabilire un piccolo riflesso benedettino nella dimensione episcopale e ritenne persino che la guida di una parrocchia non fosse poi così lontana da quella di un monastero almeno per le questioni fondamentali.

La linea di condotta del vescovo, sempre centrato sulla mediazione, trovò anche un certo numero di detrattori i quali riscontrarono che ciò mancasse di energia e decisione. Ma nel complesso, il portavoce del Consiglio presbiterale di Augusta sintetizzò l’atmosfera con queste parole: «La vita, secondo la saggia Regola di san Benedetto, di monsignor Viktor, è per noi un esempio e un incoraggiamento, in particolare per quanto riguarda la spiritualità e lo stile di guida».

Nel testo che segue, vorrei riprendere questa valutazione, pur mettendola un po’ in discussione: un titolare di un servizio benedettino nel XX e XXI secolo segue effettivamente le direttive della Regola di san Benedetto, ma dove inizia il vasto spazio di riappropriazione creativa e personale?

Il vescovo Viktor descrive il suo concetto di ministero come segue:

«È uno dei compiti più importanti di un abate preservare, promuovere e ricreare costantemente l’unità della comunità nonostante ogni opposizione. Questo non è meno vero per il vescovo diocesano in una Chiesa che soffre sempre più di polarizzazioni. I diversi gruppi si accusano a vicenda di non essere più “cattolici” o di formare una setta. Compito del vescovo è respingere gli eccessi delle due parti, ma per il resto tenere uniti nell’unità ecclesiale i gruppi che vanno alla deriva e tendere costantemente alla mediazione».

Da questa affermazione si possono dedurre due cose. Da un lato, per descrivere la competenza della guida ecclesiale, Mons. Viktor ricorre all’immagine benedettina dell’abate del capitolo 2 della Regola, secondo cui il capo di una comunità deve «servire il carattere proprio di molti»(v. 31). D’altra parte, però, amplia la saggia considerazione della diversità umana attraverso un’aspirazione fondamentale all’unità e alla mediazione, sia nelle comunità monastiche sia nella Chiesa locale e universale. Anche se questo corrisponde in tutto e per tutto all’atteggiamento benedettino, tale servizio per la pace non si trova esplicitamente nella Regola di Benedetto.

Un’altra caratteristica eccezionale del vescovo Viktor Josef, che viene puntualmente onorata, fu la sua capacità di «lavorare in équipe». Le persone coinvolte sottolineano la sua capacità di ascolto, la pazienza e il tempo dedicato agli altri. Essi poterono spiegare il loro punto di vista e sentirsi stimati, anche in caso di persistenti divergenze. È noto che la regola benedettina inizia con un invito all’ascolto. Essa raccomanda al monaco di ascoltare le parole del Maestro, cioè le parole di Cristo, e aprirsi ad esse (RB Prol. 1). Come estensione di questo principio fondamentale, l’abate è invitato ad «ascoltare il consiglio dei fratelli» (RB 3,2).

Successivamente, però, si precisa che deve decidere da sé ciò che gli sembra opportuno. Dobbiamo quindi anche vedere che la Regola di san Benedetto contiene certamente tracce di decisioni di tipo democratico, ma che il suo modello dominante resta essenzialmente quello di una monarchia. Le attuali restrizioni al potere abbaziale da parte del Capitolo e del Consiglio sono sviluppi successivi. Le raffigurazioni della ricerca della verità attraverso il dialogo, che ci sembrano ovvie, non corrispondono ai riflessi del monachesimo primitivo.

Queste brevi osservazioni non intendono mettere in discussione l’innegabile impronta benedettina dello stile di vita e dell’indirizzo di Mons. Viktor Josef, che egli stesso ha sottolineato. Tuttavia, desiderano invitare a un uso ponderato della formula spesso usata in modo stereotipato di “spiritualità benedettina”.

La Regola di san Benedetto offre possibilità interpretative quasi illimitate. Circoli tradizionalisti e fondamentalisti vi fanno riferimento tanto quanto i cristiani liberali e aperti al dialogo. Nel caso di Mons. Viktor Josef, si tratta soprattutto di una personalissima attuazione del carisma benedettino, che scaturisce dal suo carattere, dalla sua esperienza di vita e dalla sua saggezza. Potrebbe avere più a che fare con Viktor Dammertz che con san Benedetto.

Forse più in linea con la tradizione benedettina, Mons. Viktor amava caratterizzare questa tradizione con l’espressione: «diversità nell’unità». Entrambi sono importanti, diversità e unità, ma, come sottolinea Viktor Dammertz, mettendo la diversità al primo posto: la diversità ha una lieve priorità.


Gli ultimi tre Abati Primati: Gregory Polan, Nokter Wolf, Viktor Dammertz.

La Fondazione Benedictus

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Articolo non tradotto. Visualizzazione in inglese, francese o altra lingua.

L’evoluzione delle congregazioni benedettine da un punto di vista femminile

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Notizie

L’evoluzione delle congregazioni benedettine

da un punto di vista femminile

 

Madre Franziska Lukas, osb

Abbadessa di Dinklage (Germania)

 


Sono stata invitata a parlare delle congregazioni benedettine da un punto di vista femminile, ma ho pensato che sareste molto più interessati a qualche eco dell’esperienza che abbiamo vissuto nel cammino dell’erezione della Congregazione benedettina europea della Risurrezione. Ed è senz’altro il punto di vista di una benedettina, infatti non affronto direttamente la situazione dei trappisti, dei cistercensi o di altri ordini.

 

Contesto generale

Tutti conoscono la storia generale della Cor Orans: nel 2014 un questionario della CIVSVA di Roma è stato inviato a tutti i monasteri di monache. Tuttavia molti non l’hanno ricevuto che dopo un lungo lasso di tempo e alcuni non l’hanno proprio avuto. Questo è stato particolarmente vero per noi, monache benedettine. Fortunatamente, quell’anno, eravamo riunite per il simposio della CIB. Durante questo incontro, era prevista un’udienza papale che è stata annullata dal Vaticano all’ultimo. Questo ci ha dato l’opportunità e il tempo di parlare e di confrontarci sul questionario. Con nostra grande sorpresa, ci siamo rese conto di essere d’accordo nella risposta sulla maggior parte delle questioni di base.

Nel 2016 è stata pubblicata la Costituzione apostolica Vultum Dei quaerere: non possiamo dire se, o in quale misura le nostre risposte al questionario sono state integrate in questo documento.

In seguito, nel 2018, è stata emanata l’Istruzione Cor Orans: questa ha definito alcune norme che siamo tenute ad adottare per obbedienza. Alcune norme hanno accresciuto la responsabilità delle monache, altre non sono compatibili con la nostra vita attuale.

La Cor Orans è stata il catalizzatore di tre movimenti:

1. Collaborazione a diversi livelli, in particolare per quanto riguarda l’irritazione generalmente causata dalla lunghezza del periodo di formazione.

2. Contatto con la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata a livello internazionale, europeo e nazionale.

3. Sviluppi e cambiamenti in corso tra le comunità di monache in modo autonomo, per esempio:

– in Spagna: le comunità erano già in cammino per creare una congregazione; nelle Filippine, le tre comunità di monache hanno iniziato a formare una congregazione monastica; in Europa, undici monasteri hanno dato vita a una nuova congregazione europea. Le Costituzioni di tutte queste congregazioni sono attualmente già state approvate.

– Per i monasteri autonomi, che hanno deciso di aggregarsi a una federazione o a una congregazione già esistente, le federazioni adattano le loro norme; in certi casi, prospettano di richiedere delle deroghe (ad esempio per il tempo prolungato della formazione).

Questi pochi dati possono essere sufficienti a inquadrare la prospettiva generale su tale questione.

 

La Congregazione benedettina europea della Risurrezione[1]

Per quanto riguarda la nuova Congregazione benedettina euro-pea della Risurrezione, potrei parlarne sotto due prospettive diverse.

Per prima cosa, il processo che la nostra comunità di Dinklage ha attraversato: ogni monastero della nostra congregazione, in effetti, ha dovuto seguire il proprio cammino e decidere come voleva che la Cor orans influisse sul proprio futuro. Per noi a Dinklage, esistevano motivi diversi che ci hanno condotto a preferire di erigere una nuova congregazione. Ci sembrava che costruire qualcosa di nuovo “solo” in Germania sarebbe stato troppo limitato, perché noi abbiamo nazionalità differenti nella nostra comunità, ma anche progettare una congregazione veramente mondiale ci sembrava un po’ troppo.

In secondo luogo, noi vediamo una congregazione di “donne” come un segno che ci è richiesto in questo momento dalla Chiesa, visto che Roma ci ha dato la facoltà di costruirla; le nostre esperienze al riguardo fanno parte di una storia più lunga.


• Processo di sviluppo del gruppo di comunità che già appartengono alla Congregazione recentemente eretta

L’iniziativa è stata presa da due monasteri in Belgio: essi hanno chiesto ad altri monasteri se fossero interessati all’iniziativa nel quadro delle reti di rapporti già esistenti che si sono sviluppati nel corso degli ultimi decenni (UBB, ADSUM, CIB).

Dall’inizio, si trattava di sviluppare una congregazione monasti-ca e non un federazione. Eravamo tutte d’accordo per affermare che era la via privilegiata, perché noi volevamo essere giuridicamente indipendenti dal vescovo. Facevamo questo pensando che era bene per noi e non perché era stato richiesto da Roma (anche se Roma effettivamente ne ha dato l’impulso finale). Abbiamo in seguito scoperto che assumerci questo rischio e aprirci a una tale avventura ci davano energia. Vedevamo dei vantaggi nel costruire una comunità nuova e più grande in questa maniera.

Preservare la diversità: era ed è sempre un punto importante per tutte, perché ciascuna delle comunità ha una storia, un modo di vivere, una tradizione e una cultura molto differenti.

L’idea di vivere in una “Europa” comune era condivisa.

 

• Le tappe per l’elaborazione delle Costituzioni

Fin dalla primissima riunione nell’ottobre del 2018, abbiamo deciso di avere una Commissione giuridica con quattro superiore e suor Scholastika Häring (Dinklage) come coordinatrice. Questa Commissione ha preparato diversi e svariati schemi man mano che le sorelle procedevano. Abbiamo discusso su ciascuno di questi progetti nella Conferenza delle superiore. Ogni schema che proveniva dalla Commissione è stato inviato alle superiore che l’hanno discusso e modificato. Poi il testo è stato trasmesso a ciascuna comunità.

Ogni volta abbiamo conservato le domande e i commenti che sono stati discussi nelle nostre comunità, poi abbiamo preso delle decisioni, in funzione di tutto questo lavoro, nel corso della succes­siva riunione delle superiore. Questo è continuato tappa per tappa per molti schemi abbozzati.

Prima di presentare il testo finale, abbiamo chiesto a suor Eleonora, ocso (Glencairm) e a fratel Hugues Leroy, osb (Francia) di rileggere il testo: c’erano dunque una donna e un uomo, nonché un’anglofona e un francofono. Dopo aver ricevuto i loro commenti e osservazioni, abbiamo tenuto una nuova riunione di superiore per discuterne. Il testo finale è stato trasmesso a ciascuna della comunità che l’hanno in seguito votato.

 

• Contenuto delle Costituzioni

Abbiamo redatto un preambolo come “identità comune”: secon-do Perfectæ Caritatis n° 9, la nostra Congregazione sarebbe “monastica” e non Istituto interamente votato alla contemplazione (PC n° 7).

Sottolineiamo l’importanza delle norme del monastero: manda-to dell’Abbadessa, durata e composizione del Consiglio, periodicità delle visite canoniche...

Abbiamo voluto evitare la standardizzazione; questo non è possibile né auspicabile nei campi della liturgia, dell’abito o delle varie forme di apostolato. Tutti i nostri monasteri devono vivere secondo la loro collocazione geografica e la loro tradizione.

Abbiamo cominciato questo processo nell’ottobre 2018 e nella primavera del 2020 le Costituzioni erano quasi terminate. Poi è arriva-to il confinamento, durante il quale ci siamo potute incontrare solo via Zoom. Abbiamo tuttavia potuto svolgere questo lavoro e siamo riuscite a terminare la redazione delle Costituzioni.

Novembre 2020: riunione virtuale delle superiore, nel corso della quale abbiamo adottato le Costituzioni e le abbiamo inviate alle comunità perché le votassero.

Anche in questa fase era impossibile per le superiore incontrarsi in presenza. Ci siamo riunite virtualmente e abbiamo preso la decisione di preparare il tutto per Roma, e poi di inviarlo. Oltre alle Costituzioni stesse, abbiamo allegato il processo-verbale del Capitolo del voto per costituire la Congregazione, il processo-verbale sulla votazione delle Costituzioni, il decreto di ogni monastero riguardante l’erezione della Congregazione e una breve descrizione di ciascun monastero. Una delle superiore era autorizzata a parlare a nostro nome a tutte.

Dopo qualche mese di attesa, un miracolo ci è stato concesso: l’erezione della Congregazione e l’approvazione della Costituzioni per cinque anni ad experimentum. Dunque ora siamo a questo punto! Nel novembre del 2021, abbiamo preparato il Capitolo generale che si terrà in febbraio nella nostra comunità in Svezia. Là, eleggeremo la Presidente e il Consiglio, e poi di seguito, naturalmente, celebreremo il fatto di essere riuscite ad arrivarci!

I monasteri della nuova Congregazione sono:

• Alexanderdorf, Germania

• Dinklage, Germania

• Egmond, Paesi Bassi

• Hurtebise, Belgio

• Kaunas, Lituania

• Liège, Belgio

• Montserrat, Spagna

• Oosterhout, Paesi Bassi

• Simiane-Collongue, Francia

• Steinfeld/Bonn, Germania

• Vadstena, Svezia

 

[1] In inglese: The European Benedictine Congregation of the Resurrection.

Conclusione del rapporto sull'evoluzione della Confederazione Benedettina

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Articolo non tradotto. Vedere in francese, inglese o tedesco.

Relazione del Segretario generale dell'DIM

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Articolo non tradotto. Visualizzazione in francese, inglese o altra lingua.

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