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Bulletin

Transition

126

Bulletin

La vita monastica oggi

125

Bulletin

« Tutta la vita come liturgia »

124

Bulletin

I Capitoli generali cistercensi
(OCSO e OCist, sett. e ott. 2022)

123

Bulletin

Vita monastica e sinodalità

122

Bulletin

La gestione della Casa comune

121

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Fratelli tutti,
La fraternità nella vita monastica

120

Bulletin

La formazione monastica oggi
(2a parte)

119

Bulletin

La formazione monastica oggi
(1a parte)

La formazione monastica oggi
(1a parte)

Estratto del Bollettino dell’AIM • 2020 - N° 119

Riepilogo

Editorial

Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Presidente dell’AIM


Lectio divina

Le Beatitudini

Madre Anna Chiara Meli, OCSO

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


Prospettive

• Formazione teologica e rinnovamento monastico

Dom Bernhard A. Eckerstorfer, OSB


Experientia

Dom Eamon Fitzgerald, OCSO

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


• La vita monastica dopo Covidio19

Padre Robert Igo, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


• Il discernimento vocazionale secondo la Regola di san Benedetto

Dom Bernardo Olivera, OCSO


• La formazione dei benedettini e delle benedettine nella Corea del Sud

Suor Marie-Enosh Cho, OSB


Monastic Formator's Programme

Père Brendan Thomas, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


• Formazione per formatori nei monasteri del Madagascar e dell'Oceano Indiano

Suor Agnès Bruyère, OCSO

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


• La Struttura Sant’Anna

Dom Olivier-Marie Sarr, OSB


Wisdom Connections T4

Suor Michelle Sinkhorn, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


Meditazione

Estratto del discorso al Collegio des Bernardins (Parigi, 2008)

Benedetto XVI


Lavoro e vita monastica

L’economia monastica come motore di cambiamento

Isabelle Jonveaux


Arte e cultura

Il nuovo monastero di Envigado

Dom Guillermo Arboleda, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


Une pagina di storia

Le suore benedettine missionaire di Tutzing

Dal sito web della Congregazione di Tutzing


Monaci e monache, testimoni per il nostro tempo

• Madre Bénigne Moreau

Madre M.-M. Caseau et S. L. de Seilhac, OSB


• Dom Basílio Penido

P. Matias Fonseca de Medeiros, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


- Il Segretariato dell'AIM

Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


- I miei anni all'AIM

Madre M.-Placido Dolores, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.


- Viaggio in Argentina (continuazione e fine)

Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.

Sommaire

Editoriale

Per l’AIM è quanto mai importante fare regolar- mente il punto sulle proposte di formazione monastica attivate nei vari monasteri del mondo. Inevitabilmente

queste proposte evolvono in relazione allo sviluppo e alle iniziative dei monasteri in ciascuna regione.

Le iniziative sono numerose. Per questo ci è sembrato utile, per dare uno spazio appropriato a questo tema così importante, dedicare due numeri del Bollettino: il 119 e il 120. Se leggendo questo Bollet- tino, ci fosse qualcuno o qualcuna che volesse aggiungere qualche informazione a riguardo di progetti inerenti alla formazione, non esiti a scriverci. Da parte nostra, troveremo il modo per aggiungere questi contributi nel Bollettino 120.

La formazione di cui parleremo in queste pagine riguarda soprat- tutto la vita monastica in quanto tale e le condizioni necessarie perché sia attuale e possa svilupparsi adeguatamente. La questione degli studi di filosofia, teologia e delle specializzazioni universitarie potranno essere affrontati a parte: non entrano, infatti, direttamente in quello che è l’approccio di questi due numeri del Bollettino.

Per quanto riguarda la formazione iniziale, ogni comunità deve assumere la sua parte di responsabilità. Perciò, proprio come viene ricordato nel documento «“Miroir” - Uno specchio della vita monastica per l’oggi», è la comunità in quanto tale ad essere la prima formatrice. Nondimeno, è importante allargare l’orizzonte dei fratelli e sorelle delle comunità con dei tempi di formazione permanente. Inoltre, bisogna vigilare affinché ogni comunità sia capace di suscitare e formare dei responsabili.

Gli Ordini, Congregazioni e Regioni monastiche propongono delle iniziative proprie sia a livello di inter-noviziato che di sessioni per giovani professi, per formatori, per superiori e per i vari responsabili.

San Benedetto, nella Regola, afferma di voler istituire una scuola del servizio del Signore. Si tratta di un progetto evocatore. Siamo tutti invitati a rimanere in un atteggiamento di ascolto attraverso uno scambio di conoscenze e di esperienze che dura tutta la vita. A partire da un’altra immagine usata da san Benedetto, la formazione si acquisisce nel quadro di una sorta di milizia fraterna (cap. 1) dove si esercitano a pieno la reciprocità, le tensioni, gli incoraggiamenti, la lotta condivisa contro tutti gli ostacoli che si presentano. Il tutto in vista di una vera conversione per vivere il comandamento dell’amore. Questa formazione viene esercitata in un laboratorio (cap. 4) dove si impara a fare uso di quegli strumenti spirituali che vengono messi a disposizione di tutti.

La prospettiva propria di una formazione monastica tende a dare la possibilità ai fratelli e alle sorelle delle nostre comunità di speri- mentare il cammino che ci conduce, tutti insieme, verso la vita vera, secondo l’ispirazione dell’amore di Dio. Così, «sotto la guida del Vangelo» e «senza allontanarci mai dal suo insegnamento e vivendo nel monastero saldi nella sua dottrina fino alla morte, parteciperemo, mediante la pazienza, alla passione di Cristo, per arrivare ad avere parte con lui nel suo Regno» (cf. Prologo e cap. 72).

La magna charta delle Beatitudini, con cui si apre il Vangelo secondo Matteo, è una magnifica illustrazione di ciò che si propone la formazione monastica.


Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Presidente dell’AIM

Articoli

Le Beatitudini

1

Lectio divina

Madre Anna Chiara Meli, OCSO

Priora de Mvanda (RDC)

 

Le Beatitudini,

carta della formazione monastica

 

 



Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.

Formazione teologica e rinnovamento monastico

2

Prospettive

Dom Bernhard A. Eckerstorfer, OSB

Rettore dell’Ateneo Sant’Anselmo, Roma

 

 

Formazione teologica

e rinnovamento monastico

 

 

A leggere le nuove pubblicazioni teologiche e monastiche colpisce constatare che una gran parte di esse nota le sfide del nostro tempo. Non c’è dubbio che siamo messi di fronte a un cambiamento che per molti è anche una svolta verso una nuova epoca. Come la Chiesa nel suo insieme, anche i monasteri si sforzano di inventare vie nuove per il futuro. La loro ricerca diventa particolarmente urgente quando da esse dipende la sopravvivenza di una comunità. In questa prospettiva le questioni di formazione per i benedettini sono di grande attualità e per questo fatto sono esplosive. Mostrano se e come può riuscire il rinnovamento monastico.

Il presente numero dell’AIM usa la parola chiave “oggi” per presentare la sua tematica sulla formazione. La formazione monastica si è evidentemente sempre sforzata di trasmettere la vita benedettina in una coscienza sveglia della realtà di ogni epoca. Certamente, un tempo ci fu un modello unico, considerato come durevole su periodi più lunghi perché i modelli di Chiesa e di società duravano essi stessi per diverse generazioni. Invece la nostra situazione attuale è molto confusa. Nel centro esatto di un cambiamento d’epoca, cose che erano prima evidenti non lo sono ormai più; ma i nuovi paradigmi non si sono ancora imposti, nessuno sa a cosa somiglierà il futuro. Tutti abbiamo il presentimento che bisogna assolutamente impegnarsi su vie nuove. Ma quali di queste vie saranno in grado di aprire nuovi orizzonti ?

Nella situazione attuale sono convinto che la teologia sia un fattore decisivo per la formazione dei benedettini e il nuovo orienta- mento delle nostre comunità. Ma bisogna tener presente anche l’altro risvolto: il monachesimo potrà a sua volta giocare un ruolo impor- tante nel rinnovamento della teologia. Come nella vita politica sociale e culturale, dove si constata un disorientamento se non proprio una rottura con le antiche istituzioni e i modi di pensare fino a questo momento globalmente ben accetti, così avviene una transizione nella Chiesa e nella teologia. In questo campo la parola crisi è su tutte le labbra. L’etimologia del vocabolo può assumere un ruolo di rivela- tore per il nostro argomento: crisis significa un discernimento e una decisione e li reclama entrambi.

Vorrei trattare l’argomento che mi è stato chiesto in tre punti. Abborderò in primo luogo l’iniziazione monastica, il suo senso e le forme che essa assume. Maestro dei novizi per dodici anni ho speri- mentato io stesso nel corso della mia carriera la necessità di inizia- zioni fondamentali. Vorrei poi rileggere la pratica monastica come un luogo teologico. Infine vorrei presentare il ruolo dell’università nel rinnovamento della vita benedettina.


La formazione monastica come processo teologico

Nei monasteri appunto, vediamo che la trasmissione della fede avviene essenzialmente con la pratica di un certo stile di vita. Fin tanto che siamo in una società religiosa omogenea, i suoi punti di vista, i suoi usi e costumi sono considerati come qualcosa che va da sé dal momento che sono sostenuti e condivisi dalla maggioranza. A partire dal momento in cui entriamo in un mondo pluralista, dove la fede non è che un’opzione tra le altre, dobbiamo condurre una rifles- sione sugli atti che erano posti fino a quel momento in modo automa- tico, per non perderli, ma tradurli in altra forma in modo che siano compresi nel contesto attuale.

Quando qualcuno entra in monastero inizia un complesso processo di apprendistato. Integrati in pratiche comunitarie molti elementi sono acquisiti consapevolmente nel corso dei primi anni; consapevolmente vuol dire riflessi e dunque messi in questione. Questo lavoro è importante per appropriarsi dei modi di fare che sono radicati nella comunità. Ed è così che con l’ingresso in comunità di ogni nuovo membro, la vita monastica si rinnova, attualizzata nel processo di appropriazione comunitaria e individuale, vivificata dal sentimento di vivere nell’oggi. Così essa si mantiene viva.

L’introduzione alla vita benedettina è un processo teologico. Il monachesimo ha sempre compreso il monaco come un cercatore di Dio, uno che cerca un modo di pensare che sia appropriato al suo modo di vivere. Per essere teologo nel senso originario del termine non è necessario fare un dottorato in teologia. Sono le persone spiritual- mente competenti che conducono una vita “teologica” e che vi intro- ducono gli altri. Vorrei illustrare con una testimonianza personale come sia essenziale l’iniziazione di base. Sono entrato in monastero a 29 anni, dopo lunghi studi al mio paese e all’estero. Il Padre Abate e il maestro dei novizi mi hanno detto: «Hai già un dottorato in teolo- gia. Cosa potremmo ancora insegnarti ?». Pensavano che avrei potuto senza difficoltà servire una messa pontificale. Ora, io non ero mai stato in un coro, non mi era mai stato insegnato nulla delle cerimo- nie pontificali lungo il mio corso di teologia protestante in America del Nord. Ero dunque molto più sprovveduto e maldestro del mio co-novizio, passato direttamente dalla scuola monastica al noviziato.

Il mio monastero aveva sopravvalutato l’importanza dei miei studi universitari; aveva invece sottovalutato la necessità di un’iniziazione monastica per un giovane teologo. Questa iniziazione avviene soprattutto per osmosi. In tutti i monasteri ci sono dei fratelli o delle sorelle anziane che conducono fedelmente la loro vita per decenni. Essendo spiritualmente ben formati, diventano dei modelli per la generazione successiva, più per ciò che sono che per ciò che fanno, più per il loro essere che per dei discorsi. Quando ripenso ai miei primi anni monastici, erano loro i miei maestri, ivi compresi l’abate e il maestro dei novizi summenzionati, loro che non si consideravano come dei grandi teologi. Certamente ho dapprima dovuto imparare quale era la mia nuova identità ; ho dovuto comprenderla con la riflessione. Durante il mio noviziato mi è stato dato di poter leggere, tra gli altri testi di base, una buona parte delle opere del mio nuovo santo patrono, Bernardo di Chiaravalle. Fu una nuova esperienza di apprendimento! Potevo gustare la lettura senza avere la pressione di dover valorizzare quel che avevo letto in esami o compiti accademici. Nemmeno imparare a leggere i grandi testi del monachesimo e la storia della spiritualità fu immediato per me. Fu una benedizione che proprio dopo il noviziato io fossi inviato a Sant’Anselmo per due anni, là dove già più di cento dei miei fratelli avevano studiato per decenni. Il Credo del nostro Abate all’epoca era : «Ognuno dei fratelli dovrebbe avere la possibilità, se lo desidera, di passare almeno un semestre a Sant’Anselmo».

A Roma ho incontrato una teologia per me nuova : di colpo mi ritrovavo a pregare e mangiare con i professori e gli studenti. Ecco il segreto della formazione dei benedettini: il modo di vivere e il modo di pensare si interpenetrano. Tuttavia la riflessione teologica sulla vita benedettina era in primo piano. Mi divenne accessibile attraverso alcuni corsi ma più ancora per l’attenzione personale di teologi benedettini che mi hanno aiutato a integrare la mia forma- zione teologica antecedente nella mia vita monastica. È precisamente questa mescolanza tra uno stile di vita concreto e una comprensione più profonda che caratterizza la vita monastica. Questa mescolanza non può resistere alle esigenze dell’epoca attuale se è smembrata in differenti settori senza rapporto gli uni con gli altri.

Poco prima della mia professione solenne ho attraversato una crisi. Improvvisamente mi hanno attirato altri modi di vivere, ebbi l’impres- sione che i miei quattro anni da monaco erano un’esperienza arrivata al suo termine. Col tempo ho preso coscienza che la mia decisione di impegnarmi con la professione perpetua fu dovuta in gran parte alla riflessione teologica che ho potuto condurre sul mio nuovo genere di vita, ivi compresi i contatti che avevo potuto stringere con il monache- simo mondiale, specialmente durante i due anni a Sant’Anselmo.


L’esercizio concreto della pratica monastica

Il germe di un rinnovamento benedettino si trova nelle prati- che monastiche che bisogna ri-scoprire, comprendere di nuovo, e mettere in atto in modo attualizzato. La formazione monastica non serve a niente quando presuppone troppo. Nulla scorre più diret- tamente dalla sorgente quando si tratta dei giovani nelle nostre comunità. Partiamo dalle cose più elementari: le esperienze che ci sembrano banali nella vita quotidiana devono essere ripensate. Che atteggiamenti assumiamo? Quali sono i ritmi e le strutture che ci procurano stabilità? Conviene non soltanto imitare il genere di vita monastica, ma riafferrarlo dall’interno e – di conseguenza – metterlo in questione e infine modificarlo; si dirà anche: trasformarlo. Per fare questo occorre mettere in atto una mistagogia delle pratiche monasti- che nella quale dispiegare gli elementi fondamentali nella loro ricca tradizione – ma anche trasferirli nel nostro mondo contempora- neo: stabilitas e conversatio, la piccola cella monastica e l’ampia cinta claustrale, la lettura e l’autodisciplina, la solitudine e la comunità, ecc.

Un punto del tutto essenziale da acquisire è l’apprendimento di un nuovo modo di leggere. È impossibile prevedere su scala mondiale l’impatto della rivoluzione digitale sulle nostre civilizzazioni e il cambiamento che essa produrrà nelle nostre società. Essa può offrire al monachesimo nuove possibilità. Tuttavia non tappiamoci gli occhi sul fatto che essa impone un approccio della realtà estraneo allo spirito benedettino. I media riposano su messaggi concisi, provvisti di segni e di abbreviazioni che rimangono attuali per un breve lasso di tempo e l’accesso ai quali è temporaneo. L’apertura digitale al mondo non è in sintonia né con il processo della riflessione e la redazione laboriosa di scritti accuratamente costruiti, né con la cultura libresca tradizionale. Ma i monasteri possono farne a meno?

Nella lectio i giovani fratelli e sorelle acquisiscono non soltanto delle conoscenze religiose, ma anche una competenza teologica : poter passare un’ora, o almeno una mezz’ora del proprio tempo esclusivamente a leggere ogni giorno, e questo durante mesi e anni! Nella meditatio la lettura si sedimenta e si muta in sapienza. Sapientia viene da sàpere che si può tradurre con “gustare” o “assaporare”. È il fondamento dell’oratio. Ma quanta pazienza e perseveranza ci vuole per raggiungerlo, proprio nel nostro mondo tecnologico così perfor- mante! L’insegnamento in noviziato deve incoraggiare la lettura di testi teologici che dovranno essere in seguito discussi. In questa condivisione non si darà immediatamente il proprio parere; bisogna prima aver ben compreso il testo: “Cosa dice l’autore?”.

La formazione monastica deve permettere una comprensione più profonda della realtà e stabilire il legame tra la lettura costante di frammenti di testo e un’esperienza di lettura olistica. Forse è un segno della viabilità futura dei nostri monasteri: la biblioteca è ancora un luogo di vita, oppure degenera in un luogo di stockaggio, divenuta nel migliore dei casi una sala di esposizione del passato trascorso di una ricerca viva di Dio? Una missione teologica del monachesimo oggi non sarebbe essenzialmente quella di far rinascere la cultura della lettura? Non sarebbe la prima volta che i monasteri sarebbero dei vettori-trasmettitori di civilizzazione.


Dal monastero all’università e viceversa

Oggi più che nel passato constatiamo che i candidati hanno bisogno di un’iniziazione alla fede. Il monaco si forma esercitandosi a comprendere e ad assaporare la lettura e nello scoprire tutto un universo di significato religioso. Un professore di teologia sperimen- tato di un’università di stato mi diceva un giorno: «Quelli che hanno fatto un noviziato studiano in modo diverso da noi». Ma devo dire che, almeno secondo la mia esperienza nell’Europa centrale, alcuni di quelli che entrano nei nostri monasteri hanno un’avversione per la teologia universitaria. Questo probabilmente viene da una parte da una riduzione scientifica, quando la teologia è studiata come una scienza senza un sufficiente rapporto con la fede vissuta. Ma d’altra parte questo rivela anche la mancanza di coscienza di ciò che la teologia accademica può e deve fare per i nostri monasteri.

L’insegnamento e la ricerca teologica all’università, anche in dialogo con altre discipline, offre il suo proprio quadro per la pratica e la riflessione descritte sopra. Dopo aver trascorso vent’anni nel mio monastero in Austria, ritrovo a Sant’Anselmo la libertà offerta dal quadro accademico, nel quale gli studi sono prioritari, ma non separati dalla vita spirituale. Così gli studenti possono consacrarsi a una specializzazione in filosofia, teologia e/o liturgia facendo nel contempo fruttificare i loro altri punti di interesse. La crisi del Corona ci ha mostrato come la missione educativa può essere realizzata anche con l’espediente delle nuove tecnologie. Certamente perseguiamo l’insegnamento diretto che include una discussione personale in loco e che fa splendere la città di Roma in particolare, e in essa, la Chiesa universale, come un’esperienza teologica. Tuttavia allarghiamo sempre più le nostre proposte di corsi on-line, per aprire alle persone che non possono venire nella Città Eterna una partecipazione all’insegna- mento e alla ricerca di Sant’Anselmo.

Non bisognerebbe sottovalutare il lavoro degli Istituti religiosi o facoltà di teologia statali, che contribuisce a vivificare e a rendere plausibile la nostra esistenza benedettina. Da quanto vedo le nuove fondazioni monastiche vanno insieme a una rielaborazione teologica che affonda le sue radici essenzialmente alle fonti del monachesimo; come l’aveva previsto il Vaticano II: un ritorno alle fonti (ressource- ment) combinato con la ricerca di modalità adatte alle condizioni attuali (aggiornamento). La teologia scientifica può apportare in questo campo un contributo più grande. La fede, vissuta così come si esprime nelle pratiche monastiche, ha bisogno di una riflessione critica e della presentazione della ricchezza della Tradizione a misura del nostro tempo. Questo proteggerà i nostri monasteri dall’unilate- ralismo, dal devozionismo e dalle ideologie di ogni genere.

I monasteri ricchi della loro tradizione teologica hanno anche molto da dire al mondo universitario di oggi. Il decano di una facoltà di teologia di una università di stato ha recentemente dichiarato di rimpiangere che la teologia universitaria sia appena notata nella società e nella cultura di oggi. Vediamo, però, che il mondo laico è evidentemente interessato dalla testimonianza vissuta della fede. Quando si pratica la teologia come una forma ispirata dall’esperienza della fede e l’espressione di una liturgia viva, allora le altre discipline (accademiche) cominciano a interessarsi a essa e lo fanno anche le persone che sono alla ricerca di alternative convincenti. Almeno per l’Europa centrale posso testimoniare che al di là di tutte le crisi che toccano attualmente la Chiesa e il suo tradizionale lavoro pastorale, da cui i monasteri non sono esclusi, l’interesse per la vita benedettina è grande e costante, tanto tra i credenti quanto fra gli scettici. Essi trovano nei monasteri la realizzazione delle loro aspirazioni a una “vita alternativa” e amerebbero ispirarsi alla ricchezza e alla potenza spirituale delle antiche tradizioni. Questo dovrebbe incoraggiarci, nei nostri monasteri, ad adattare il nostro genere di vita benedettina a un modo di pensare adeguato, dal noviziato fino ai più alti luoghi di formazione religiosa. Il monachesimo potrebbe così contribuire a una teologia rinnovata, al cuore di una Chiesa missionaria che, secondo Papa Francesco, non potrebbe contare unicamente sugli esperti delle università di teologia e sui burocrati dell’organizzazione ecclesiale.



L’abbazia di Sant’Anselmo, Roma. © AIM.
L’abbazia di Sant’Anselmo, Roma. © AIM.


Experientia, un'esperienza di formazione continua

3

Prospettive

Dom Eamon Fitzgerald, Abate Generale

Ordine Cistercense della Stretta Osservanza

 

 

Experientia,

un’esperienza di formazione continua[1]

 


Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.

La vita monastica dopo Covidio19

4

Prospettive

Padre Robert Igo, OSB

Priore dei Christ of the Word, (Macheke, Zimbabwe)

 

La vita monastica dopo Covidio19

 


 Articolo non tradotto in italiano. Vedi in un'altra lingua.

Il discernimento vocazionale secondo la Regola di san Benedetto

5

Prospettive

Dom Bernardo Olivera, OCSO

Abate generale emerito dei Trappisti

 

Il discernimento vocazionale

secondo la Regola di san Benedetto

 

 

Questo intervento[1] di Dom Olivera sulla formazione iniziale ci è parso molto utile per il suo approccio assai concreto, a partire da ciò che prevede san Benedetto nella sua Regola.

 

L’abbondanza come la mancanza di vocazioni sono, generalmente, due segnali che evidenziano l’impor- tanza del discernimento. La mancanza di vocazioni spesso spinge a correre il rischio sconsiderato di andare a caccia di candidati; l’abbondanza di vocazioni porta a non passare sufficiente- mente al vaglio il raccolto.

Propongo di consultare l’insegnamento di san Benedetto così com’è contenuto nella Regola : questo insegnamento abbraccia il tempo che va dal momento immediatamente precedente all’ingresso in monastero fino alla professione.

San Benedetto aveva certamente il carisma del discernimento degli spiriti, tuttavia, quando di tratta di vocazioni il suo è un approc- cio assai pratico: si basa su ciò che si vede ed è riscontrabile. Ecco quattro criteri specifici e generali offerti dalla regola di san Benedetto.


La pazienza perserverante

Il primo criterio offerto dalla Regola si trova all’inizio del capito- lo 58 dove si legge quanto segue:

«Appena uno si presenta per intraprendere la vita monastica, non gli si conceda troppo facilmente l’ammissione, ma come dice l’Apostolo: “Mettete alla prova gli spiriti per vedere se sono da Dio”. Se dunque il nuovo venuto insiste a bussare, e sopporta con pazienza il rude trattamento e le difficoltà che si sollevano al suo ingresso, e dopo quattro o cinque giorni persiste nella sua richiesta, si acconsenta al suo ingresso e stia per qualche giorno nell’alloggio degli ospiti» (RB 58,1-4).

Si tratta di un discernimento preliminare per capire se il candi- dato è stato toccato dallo Spirito di Dio nella sua decisione di avvici- narsi al monastero.

Benedetto indica due elementi facili da verificare: la perseve- ranza e la pazienza. Il fattore tempo aiuterà a verificare questi due elementi. Se, a fronte di un periodo di qualche giorno, il candidato persevera nella sua richiesta e si mostra paziente davanti al ritardo con cui si reagisce, si potrà dire che lo Spirito di Dio l’ha condotto al monastero. Naturalmente, questo non significa che deve necessa- riamente abbracciare la vita monastica. La pazienza è la prima virtù che il candidato deve praticare. La pazienza - con se stessi e con gli altri – è un fattore prioritario della perseveranza nella vita monasti- ca. Senza pazienza non c’è comunione con le sofferenze pasquali di Cristo, né comunione profonda e misericordiosa con le deficienze dei fratelli della comunità (RB Prol. 50; 72,5).

Commento pastorale: Troppo spesso, condizionati dalla scarsi- tà di vocazioni, alcuni e alcune si precipitano nell’ammissione dei candidati, mettendo da parte questo criterio che viene menzionato da tutte le regole e che si trova generalmente attestato nella tradi- zione monastica. Per lo stesso motivo, spesso si evita di dire sin da subito al candidato quali sono le cose dure attraverso le quali si va a Dio (58,8).


La vera ricerca di Dio

Il secondo criterio benedettino suona in questi termini:

«Egli osservi con attenzione se il novizio veramente cerca Dio, se è pronto all’Opera di Dio, all’obbedienza e alle umiliazioni» (58,7).

La ricerca di Dio, in questo contesto, non rimanda alla ricerca di un Dio nascosto ma di un Dio da cui ci eravamo allontanati e verso il quale abbiamo deciso di ritornare: un Dio che ha preceduto la nostra ricerca di lui mettendosi per primo alla nostra ricerca (Prol. 2,14; 58, 8). Bisogna notare che Benedet- to raccomanda di «osservare». In altre parole, il discernimento proposto da Benedetto si attua attraverso la capacità di osservare attentamente. Il testo suggerisce che quanti sono chiamati a osser- vare sono l’insieme dei fratelli della comunità. Ciò che viene detto prima suppone che l’anzia- no (senior), capace di guadagnare le anime (il maestro dei novizi), sia particolarmente responsabile di questa osservazione… La cura particolare che caratterizza questa operazione viene compresa come un’attenta osservazione. Questa particolare attenzione si riferisce alla sua intensità e, soprattutto, alla sua durata. Ciò che non si può fare con l’accortezza e la perspicacia, viene fatto più facilmente col tempo. Il passare del tempo rivela i cuori. L’oggetto dell’attenta osservazione di cui stiamo parlando non è l’intenzione (invisibile) del candidato alla vita monastica, ma il suo comportamento (visibile) e questo in una triplice prospettiva : il dono di sé alla vita di preghiera, l’accettazione della volontà degli altri e tutto ciò che mette sotto i piedi l’orgoglio del candidato.

Bisogna notare che non basta dedicarsi alla preghiera, all’obbe- dienza e all’umiltà, ma impegnarsi in tutto questo con una capacità di accettazione generosa, fervente e piena di zelo buono.

- L’opera di Dio

Per quanto riguarda l’Opera di Dio è la preghiera a essere al primo posto. Benedetto è coerente con quanto afferma all’inizio della Regola :

«Per prima cosa, quando tu incominci a fare una qualsiasi opera buona, chiedi, insistendo molto nella preghiera, che sia egli stesso a portarla a termine…» (Prol. 4).

Per non dare adito ad equivoci ed essere chiari si afferma : «Non bisogna preferire nulla all’Opera di Dio» (43,3). Notiamo che l’Opus Dei si riferisce certo all’ufficio liturgico, ma sempre in relazione con lo sforzo costante di attenzione a Dio (cf. 19,1-2; 7,10ss).

Commento pastorale: Non si tratta soltanto di osservare la “domanda” del candidato per la sua partecipazione attiva e consa- pevole all’Opera di Dio… bisogna anche osservare la sua maniera di integrare ciò che i formatori propongono dal punto di vista della praxis: utilizzo dei libri di coro e il canto. Inoltre, lo studio: storia, teologia, struttura della Liturgia delle Ore. Senza dimenticare la mistagogia : la preghiera dei salmi, che lo spirito sia concorde con il cuore…

- L’obbedienza

L’obbedienza benedettina è una conseguenza della preghiera (cf. 6,2) per cui mantiene sempre un certo primato. Il primo grado dell’umiltà è l’obbedienza senza indugio (5,1).

Il dovere dell’obbedienza (fervore e zelo buono) comporta il fatto di obbedire non soltanto ai superiori, ma anche a tutti i fratel- li della comunità (72,6). Questo tipo di obbedienza viene vissuta rimanendo uniti a Cristo Gesù che ha detto: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato» (RB 7,32 citando Gv 6).

Commento pastorale: Non bisogna mai dimenticare che ci sono due tipi di obbedienza in relazione alla libertà :

- l’obbedienza per coercizione: ciò che spinge ad agire non è altro che la paura ;

- l’obbedienza per convinzione: ciò che spinge a muoversi è la propria scelta.

Nella prima forma di obbedienza, la libertà è condizionata dalla paura della punizione; nel secondo caso prevale invece il libero arbitrio (libertà fondata sulla ragione) e si identifica all’obbedienza volontaria di cui si parla in Perfectae Caritatis.

- Obprobia

Gli obprobria, di cui parla la Regola, se si consulta la possibi- le fonte basiliana del testo (Basilio, Regole, 6-7), si riferiscono alle occupazioni modeste e volgari che, nel mondo secolare, venivano considerate come servili.

San Benedetto si occupa dell’intera vita del candidato al fine di aiutare la crescita dell’umiltà attraverso alcune inevitabili umiliazioni (cf. 7,44-54). In questo modo il candidato alla vita monastica comincia a conformarsi a Gesù Cristo che si definisce mite e umile di cuore ed è venuto per servire e non per essere servito (Mt 11,29; Mc 10,45).

Commento pastorale: Non si tratta certo di essere umiliati volutamente e intenzionalmente, ma di accettare una vita di servizio e di semplicità.

- Conclusione

Benedetto è assai concreto: la ricerca di Dio si manifesta combat- tendo l’egoismo e l’orgoglio, poiché questi impediscono la comunio- ne con Gesù Cristo e con il prossimo.

Va pure notato che i tre criteri proposti dal Patriarca trovano una certa corrispondenza con la scala dell’umiltà. In effetti, il primo gradino dell’umiltà corrisponde alla relazione del monaco con Dio; i gradini 2 e 4 si riferiscono all’obbedienza ; i gradini da 5 a 8 indicano il modo in cui bisogna abbassarsi in riferimento alla vergogna o all’umiliazione.

Per motivi che non ci sono noti – letterari o pedagogici ? – Benedetto non menziona il silenzio come criterio di discernimento. Eppure, i gradini da 9 a 12 della scala dell’umiltà parlano del silenzio.

In sintesi, ciò che Benedetto propone può essere riformulato in due domande. La prima : il candidato alla vita monastica cerca di seguire e imitare il Cristo nella sua preghiera, nella sua obbedienza e nella sua abnegazione? Preghiera, obbedienza e umiltà sono messe al servizio di una vera ricerca di Dio?


Il giovane san Benedetto riceve l’abito degli eremiti dal sacerdote Romano. Affresco del monastero di Subiaco.
Il giovane san Benedetto riceve l’abito degli eremiti dal sacerdote Romano. Affresco del monastero di Subiaco.

L’osservanza della Regola

Il terzo criterio fondamentale consiste nel costante confronto con la Regola di vita della comunità.

San Benedetto dice che la Regola deve essere letta al candidato interamente per tre volte prima che questi pronunci la sua promessa finale. La capacità del candidato di osservare pazientemente ciò che la Regola prescrive è a sua volta un criterio di discernimento (58,9-16).

Commento pastorale: I comportamenti obbedienti e umili devono vivificare l’osservanza della Regola nel suo insieme, in quanto questa osservanza è una prova supplementare della ricerca di Dio. Oltre alla Regola di san Benedetto, il candidato deve conoscere il modo di vivere dell’Ordine così come viene codificato nelle Costituzioni e descritto nelle consuetudini della comunità.


Lo zelo buono

La richiesta che deve manifestare il candidato alla vita monasti- ca è intimamente legata allo zelo buono, caratteristico di chi decide di allontanarsi dai vizi e di dirigere i suoi passi verso Dio. Di conseguenza, il capitolo 72 della Regola sullo zelo buono, che si può anche indicare come amore pieno di fervore, offre dei criteri supplementari per verificare il dono della propria vita e la sua crescita nella vita divina.

In breve, i criteri per discernere lo zelo buono possono essere presentati nel modo seguente:

– rispettarsi reciprocamente (onore);

– sostenersi reciprocamente (pazienza);

– obbedirsi reciprocamente (obbedienza);

– rinunciare a se stessi, non al proprio vicino! (abnegazione- oblazione);

– amarsi (fraternità, sororità);

– temere Dio con amore (principio della saggezza);

– voler bene all’abate / con un sincero affetto (figliazione);

– nulla preferire al Figlio unico (cristocentrismo).

Commento pastorale: Un novizio che non arde, almeno qualche volta, di uno zelo appassionato anche se un po’ eccessivo, corre il rischio di diventare un professo solenne mediocre. La sapienza popolare potrebbe tradurre questo testo della Regola così: una scopa nuova scopa bene e un vecchio asino non «riesce più a trottare».


Conclusione

È chiaro come questi criteri, specialmente quello dello zelo buono, sono validi non solo per entrare nella vita monastica e la perseveranza, ma anche per il passaggio del monaco o della monaca alla vita eterna.

La dottrina del Patriarca, a motivo del suo fondamento evangelico, conserva tutto il suo valore. L’insegnamento di san Benedetto fin qui esposto deve essere accolto e tradotto in modo nuovo tenendo conto delle circostanze del mondo attuale.

Il modo in cui questi princìpi vengono incarnati può certamente cambiare e perfino arricchirsi.

 

[1] Intervento alla sessione dei formatori dell’ABECCA (2019).

La formazione dei benedettini e delle benedettine nella Corea del Sud

6

Prospettive

Suor Marie-Enosh Cho, OSB

Priora di Busan (Corea del Sud)

 

La formazione dei benedettini e delle benedettine nella Corea del Sud

 

 

Una delle risposte, a seguito di un questionario sulla formazione monastica mandato dall’AIM in diverse regioni del mondo, riguardava la formazione nella Corea del Sud. Ci sembra interessante pubblicare tale e quale il contributo in questione, perché rende conto di una situazione in cui molti punti rispecchiano preoccupazioni e proposte anche di altri paesi del mondo.

 

I. Formazione iniziale in noviziato

Ogni congregazione gestisce il proprio programma di formazione. La formazione comprende la preghiera, lo studio, il lavoro, la vita comunitaria ; possono esserci seminari o laboratori destinati a una migliore comprensione della persona umana.

Tra l’ingresso in comunità e la prima professione trascorrono normalmente quattro anni per le donne (uno di aspirandato, uno di postulandato, due di noviziato) e da due a tre anni e mezzo per gli uomini.

Alcune congregazioni organizzano i corsi di teologia, spiritualità e catechismo di cui hanno bisogno per la formazione iniziale; altre inviano i loro membri in formazione all’istituto di teologia di altre congregazioni religiose o della diocesi. Durante il periodo di formazione, l’attenzione è rivolta alla vita di preghiera, all’educa- zione, all’esperienza della vita religiosa.

- Corsi di Sacra Scrittura, teologia dogmatica, liturgia, spiri- tualità, psicologia, dottrina sociale della Chiesa, Regola di san Benedetto, costituzioni, statuto e consuetudini della congregazione, ecologia, inglese, latino, musica liturgica, organo.

– Seminari riguardanti la comprensione di se stessi, le relazioni, la comunicazione.

– Una regolare direzione spirituale e, se necessario, un aiuto psicologico.

– Una breve esperienza di apostolato.

 

II- Juniorato

1- Durata

Donne: da cinque a sei anni.

Uomini: da tre a sette anni.

Novizie benedettine della Corea del Sud.
Novizie benedettine della Corea del Sud.

2- Contenuto della formazione

Per le donne:

– Direzione spirituale da parte della maestra delle professe temporanee: riunioni regolari e ritiri.

– Secondo noviziato di un anno prima dei voti perpetui: lavoro e studio, trenta giorni di esercizi spirituali ignaziani.

– Riunioni regolari per le giovani professe all’interno di ogni congregazione.

– Formazioni specifiche a seconda delle diverse opere di apostolato.

– Lavoro all’interno della congregazione e/o missioni apostoliche per la Chiesa.

– Esperienze missionarie e studio dell’inglese per formare le future missionarie.

– Incontri regionali mensili per le professe temporanee.

Per gli uomini:

– Studi di filosofia e di teologia in seminario in vista del sacerdozio.

– I monaci non destinati al sacerdozio, studiano anch’essi teologia o altre materie necessarie per la loro missione apostolica.

– Seminari di psicologia spirituale per la conoscenza di se stessi, possibilità di terapia individuale o di gruppo.

– Esperienze missionarie e opere apostoliche.

 

3- Programmi di formazione inter-congregazione

– Riunioni annuali per i/le giovani professi/e degli ordini benedettini coreani.

– Conferenze internazionali per i/le giovani professi/e di ogni congregazione.

Réunions annuelles pour les jeunes profès des ordres bénédictins coréens.

Sessione di formazione per i professi e le professe temporanei.
Sessione di formazione per i professi e le professe temporanei.

III- Formazione permanente

1- Programmi di formazione permanente organizzati in modo indipendente da ogni congregazione

Donne:

– Partecipazione ai programmi annuali di formazione permanente sulla dottrina della Chiesa, sul rinnovamento della vita religiosa, sulla conoscenza della persona umana.

– Partecipazione ai programmi di formazione permanente organizzati dalle congregazioni.

– Trenta giorni di ritiro per il decimo, il venticinquesimo e il quarantesimo anniversario di professione religiosa.

– Da sei mesi a un anno di programma di rinnovo della forma- zione prima o dopo il giubileo d’argento.

– Seminari di formazione per professe più anziane.

– Pellegrinaggi all’estero.

Uomini:

– Partecipazione a corsi di formazione e seminari programmati dalla congregazione.

– Pellegrinaggi all’estero.

 

2- Partecipazione a corsi

Partecipazione a corsi di crescita personale, conoscenza della mezza età, programmi di leadership che sono organizzati dall’Isti- tuto Teologico e dall’Istituto di Formazione dall’Associazione dei Superiori Maggiori.

 

IV- Seminari e incontri per i responsabili della formazione

1- Preparazione per i formatori che saranno incaricati della forma- zione iniziale o di quella permanente

Dopo la professione solenne, corsi di teologia, Sacra Scrittura, monastica, Regola di san Benedetto, psicologia spirituale, ecc.

Corsi per formatori in istituti della Corea o all’estero. Formazione per la direzione spirituale; l’Associazione dei Superiori Maggiori gestisce un anno di corso.

 

2- Formazione permanente per i responsabili della formazione

I formatori si riuniscono ogni anno, ascoltano delle conferenze sul tema del convegno e hanno sessioni di confronto.

Le riunioni dei formatori sono molto attive nell’associazione (formazione iniziale, formazione permanente, vita religiosa nell’età senile).

Partecipazione a incontri internazionali per formatori tenuti dalla Confederazione Benedettina.

 

V- Formazione per i Superiori

L’Associazione dei Superiori Maggiori organizza due volte l’anno delle conferenze e delle riunioni destinate ai superiori benedettini e benedettine.

I superiori delle congregazioni maschili e femminili si riuniscono per ascoltare una conferenza o per discutere su un tema.

Partecipazione a vari corsi di leadership.

Durante i convegni per i Superiori Benedettini coreani, i superiori ascoltano una conferenza su un tema comune necessario per la comunità.

Nelle congregazioni benedettine femminili, le superiore delle comunità più piccole si riuniscono ogni anno per la formazione e per confrontarsi sul loro ruolo e le loro responsabilità.

Ci sono anche incontri destinati agli economi.

 

Ulteriori informazioni sulla formazione dei benedettini coreani

Gli Ordini benedettini della Corea appartengono alle congregazioni di Sant’Ottilien e di Tutzing (Germania), delle suore olivetane (Svizzera), dei fratelli olivetani (Italia). Le comunità benedettine di queste congregazioni – ad eccezione di quelle dei fratelli olivetani che sono arrivati nella Corea del Sud negli anni ’80 – sono tutte sorte in Cina e in Corea del Nord, paesi che attualmente sono sotto un governo comunista. Queste comunità hanno tutte conosciuto lo scioglimento, l’esilio e l’imprigionamento a causa della persecuzione dei governi comunisti e si sono perciò trasferite nella Corea del Sud.

I benedettini coreani sono aumentati costantemente, testimoniano la vita e la spiritualità benedettine nella Chiesa cattolica coreana e la servono attraverso differenti ministeri apostolici.

Le Benedettine di Tutzing e le Benedettine Olivetane non appartengono alla congregazione delle claustrali ma sono attive nei ministeri apostolici e costituiscono una grande comunità con centi- naia di membri. Ciò che distingue la vita delle suore benedettine coreane è che esse sono incaricate di un ministero apostolico e vivono in piccole comunità.

Sebbene il numero delle vocazioni sia molto diminuito nel corso degli ultimi vent’anni, resta comunque relativamente alto in Corea rispetto a quello di altri paesi; c’è stato un grande impegno nella formazione iniziale e negli studi. Poiché la Corea era un paese di missione, l’insegnamento di catechismo, teologia, Sacra Scrittura, spiritualità era considerato importante per approfondire lo spirito cristiano durante la formazione iniziale, cosa che ha profondamente influito sull’apprendimento e la comprensione dei fondamenti della vita consacrata.


Giovani fratelli dell’abbazia di Waegwan (Congregazione di Sant’Ottilien).
Giovani fratelli dell’abbazia di Waegwan (Congregazione di Sant’Ottilien).

Monastic Formators’ Programme

7

Prospettive

Padre Brendan Thomas, OSB

Abbazia di Belmont (Regno Unito)

 

Monastic Formators’ Programme

 

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Formazione per formatori nei monasteri del Madagascar e dell'Oceano Indiano

8

Prospettive

Suor Agnès Bruyère, OCSO

Priora di Masina Maria, Ampibanjinana (Madagascar)

 

Formazione per formatori nei monasteri del Madagascar e dell’Oceano Indiano

 

 

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La Struttura Sant’Anna

9

Prospettive

Dom Olivier-Marie Sarr, OSB

Abate di Keur Moussa (Senegal), Presidente della Struttura Sant’Anna

 

La Struttura Sant’Anna

Formare degli insegnanti

nei monasteri dell’Africa dell’Ovest

 

 

Per rispondere a un reale bisogno di monaci e monache insegnanti ben formati nei loro rispettivi monasteri, i superiori dei monasteri francofoni dell’Africa dell’Ovest hanno avuto la bella idea di creare, da qualche anno, la Struttura Sant’Anna (SSA). Quest’articolo ha l’intenzione di presentare la sua missione, i suoi obiettivi e alcune prospettive sul futuro.


La sua missione: un’ iniziazione

«Come sant’Anna ha iniziato sulle vie della sapienza la Vergine Maria – che ha donato al mondo la Sapienza Eterna del Padre –, questa struttura vuole iniziare dei fratelli e delle sorelle dei monasteri dell’A- frica dell’Ovest a formare i loro fratelli e sorelle nella ricerca di Dio, attraverso l’insegnamento della teolo- gia monastica » (Statuto della Struttura Sant’Anna).

È con queste poche righe che i superiori dei monasteri franco- foni dell’Africa Occidentale hanno voluto definire la finalità di questa struttura e giustificare allo stesso tempo la scelta della denominazione di questa istituzione formativa messa sotto il patronato di sant’Anna. L’analogia con il ruolo di sant’Anna è, in effetti, messa in rilievo per motivare la scelta di un metodo di trasmissione caro agli africani: quello dell’iniziazione. Questo termine evoca infatti un cardine essenziale dell’educazione tradizionale africana. L’iniziazione è questo processo di trasmissione che obbedisce a un rito di passaggio che potremmo comprendere doppiamente: passaggio da uno stato di “minore” a una condizione di “maggiore” attraverso un passag- gio (trasmissione) di una tradizione, di conoscenze generalmente riser vate agli adulti. Per applicarlo nel contesto monastico africano, la Struttura vuole offrire una formazione ai monaci e alle monache benedettini e cistercensi dell’Africa dell’Ovest francofona che tengono già un corso nei monasteri o che si preparano a insegnare. In altre parole, essa si interessa dei fratelli e delle sorelle che hanno già potuto beneficiare di una formazione filosofica e teologica in loco grazie ai corsi tenuti dai loro fratelli maggiori di vita monastica, o attraverso l’apporto non trascurabile di professori esterni, oppure frequentando un seminario o un’università cattolica.

 

I suoi quattro obiettivi:

Generalmente, al termine di più anni di formazione, questi nuovi formati sono chiamati a trasmettere a loro volta le conoscenze acquisite. Però, concludere una formazione, sovente con dei buoni risultati, non significa automaticamente essere anche in grado di preparare e di trasmettere i contenuti ricevuti, e spesso anche ben assimilati. È proprio a questo livello che interviene la SSA, dal momento che i suoi fondatori si sono prefissati quattro obiettivi principali:

1. Formare degli insegnanti a preparare un corso su Bibbia, teologia monastica, liturgia, soprattutto insistendo sul contenuto, sulla pedagogia per offrire anche dei percorsi di ricerca.

2. Permettere ai monasteri francofoni dell’Africa dell’Ovest di disporre, a breve o medio termine, di fratelli e sorelle specializzati nelle materie sopra citate.

3. Stimolare la vita intellettuale nell’ambito monastico.

4. Contribuire allo sviluppo di una riflessione monastica in terra africana.

Per raggiungere progressivamente questi obiettivi, bisogna necessariamente assicurarsi che il formatore abbia acquisito un buon metodo di lavoro e una solida metodologia scientifica per preparare seriamente un corso con l’elaborazione di un piano equilibrato e ben strutturato e di una bibliografia ricca e aggiornata. Dal momento che la metodologia costituisce, con la pedagogia, la chiave di trasmissione del sapere – per la sessione inizialmente prevista quest’estate (ma rinviata all’anno prossimo nello stesso periodo a motivo della crisi sanitaria) – avremmo voluto dedicare un insegnamento alla metodo- logia (in un mese). Ci sembrava infatti essenziale offrire ai nostri giovani insegnanti gli strumenti didattici, pedagogici e metodologici di cui hanno bisogno per svolgere il meglio possibile il compito loro affidato. Ma non dovremo fermarci qui. Altri cantieri devono essere aperti ed esplorati.

 

Alcune prospettive

Vista la periodicità irregolare delle sessioni (circa ogni quattro anni) a causa della distanza tra i monasteri e per i mezzi finanziari e logistici limitati, la SSA dovrebbe continuare a essere uno strumento permanente a ser vizio della formazione degli insegnanti dei nostri vari monasteri. Di conseguenza, essa è chiamata a suscitare e a creare una reale solidarietà tra i suoi vari membri in materia di formazione intellettuale. Una tale reciproca collaborazione consisterebbe ad esempio nel repertoriare e pubblicare l’elenco degli insegnanti dei nostri monasteri permettendo, a ciascuno secondo la sua specializ- zazione, di poter lavorare insieme, di aiutarsi reciprocamente, di scambiarsi dei corsi e del materiale didattico. Per arrivare a questo pensiamo di creare una base su internet con la finalità di offrire a tutti i nostri monasteri dell’Africa dell’Ovest l’opportunità di consultare o di visualizzare dei corsi, di leggere o di scaricare una bibliografia, degli articoli, delle recensioni con l’assistenza dell’Ate- neo di Sant’Anselmo, dell’AIM e di altre strutture equivalenti. In questo modo potremmo tentare di supplire alla povertà delle nostre biblioteche. Ma non solo. Sappiamo che certi monasteri non hanno sempre il personale competente in loco per gli studi dei loro giovani in formazione. Spetterebbe quindi al direttore della Struttura Sant’Anna e all’équipe animatrice di consigliare i superiori riguardo alle strutture di formazione esistenti nella nostra area e che permet- tono una felice integrazione tra vita monastica e vita intellettuale. Lo studium di filosofia e di teologia del monastero di Santa Maria di Bouaké ne è un bell’esempio.

In definitiva, l’iniziazione evocata sopra è un processo di maturazione; è dinamica e offre sempre un ventaglio di possibilità che creano un’alleanza tra tradizione, progresso e spirito di iniziativa. Sicuramente, le sfide di ieri non sono quelle di oggi, ma la forma- zione resta sempre un bisogno vitale per le nostre comunità. Spetta alla Struttura Sant’Anna adattarsi e rispondere ai nuovi bisogni dei nostri monasteri nell’ambito della formazione dei monaci e monache insegnanti.

Il programma Wisdom Connections T4

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Prospettive

Suor Michelle Sinkhorn, OSB

erdinand (USA)

 

Il programma Wisdom Connections T4

 

 


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L’economia monastica come motore di cambiamento

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Lavoro e vita monastica

Isabelle Jonveaux

 

L’economia monastica

come motore di cambiamento

 

 

Qualunque sia il modello economico1 sviluppato dalle comunità, si osserva nel corso della storia monastica che i monasteri sono sempre stati forze

di cambiamento sociale. Philibert Schmitz, storico dell’Ordine benedettino, parla di «opera civilizzatrice»[2] dei monaci in Europa. In che misura il monachesimo attuale può giocare un ruolo di innovazione e di sviluppo?

 

1. Perché i monasteri sono luoghi di innovazione?

Se i monasteri, nel corso della storia, sono sempre stati luoghi di innovazione e di sviluppo benché questo non rappresentasse in alcun modo il loro scopo primario, ciò significa che la struttura monastica presenta caratteristiche proprie che possono condurre a questa dinamica. Secondo Olivier de Sardan[3], l’innovazione può essere definita come «inserimento di tecniche, conoscenze o modalità di organizzazione inedite (generalmente in forma di adattamenti locali a partire da modelli presi in prestito o importati) su tecniche, conoscenze e modalità di organizzazione vigenti»[4]. Egli sottolinea inoltre che l’innovazione va considerata come un processo sociale.

Anzitutto, una comunità monastica non è un gruppo economico con l’obiettivo del profitto. L’economia rimane teoricamente a servizio del sostentamento della comunità. Ne deriva la possibilità di assumere rischi, perché lo scopo immediato della comunità non è l’utile di gestione a fine anno. La comunità monastica è duratura ; questo gruppo ha una durata di vita più lunga di un’azienda e può quindi assumersi rischi o investire in capitale umano. La comunità monastica si proietta in un tempo lungo, che è legato all’idea di stabilità (stabilitas loci). Inoltre, questo gruppo vive per la maggior parte del tempo in pace sociale; si autodefinisce come un gruppo di persone che cercano Dio. La dimensione duratura della comunità rende anche possibile la trasmissione di esperienze e conoscenze. Ricordiamo, ad esempio, i lavori di copiatura dei monaci che hanno permesso di conservare e trasmettere per tutto il Medioevo le loro conoscenze di medicina, agricoltura, botanica, ecc. Infine, la lunga storia del monachesimo consente di migliorare diverse dimensioni e di imparare dall’esperienza vissuta da altre comunità o in altre epoche:

«La notevole stabilità del monachesimo è principalmente una stabilità della memoria, una continuità della comprensione che si estende su trenta generazioni»[5].

Anche se la comunità è recente, ogni monastero si inserisce nella lunga tradizione del monachesimo e ciò costituisce uno strumento della propria legittimazione[6].


 2. Economia e sviluppo in Africa

Nei paesi in via di sviluppo dove il monachesimo è spesso un insediamento recente, le comunità rivestono un ruolo importante per lo sviluppo economico e sociale. Jean-Pierre Olivier de Sardan definisce lo sviluppo come un «insieme di processi sociali indotti da operazioni deliberate di trasformazione di un ambiente sociale, intraprese attraverso istituzioni o attori esterni a tale ambiente, ma che cercano di sollecitarlo»[7]. Nel caso del monachesimo, tuttavia, lo sviluppo prende dimensioni diverse. Come già detto, innovazione e sviluppo non sono di per sé obiettivi della vita monastica, ma possono diventare esternalità positive. Ciò significa che lo sviluppo è una conseguenza di attività motivate da un fine monastico, che servono cioè lo scopo religioso della vita monastica. Ad esempio, i monaci nel Medioevo svilupparono l’energia idraulica per guadagnare tempo per la preghiera[8].

Monaco al lavoro nelle piantagioni del monastero di Séguéya (Guinea Conakry). © AIM.
Monaco al lavoro nelle piantagioni del monastero di Séguéya (Guinea Conakry). © AIM.

Lo sviluppo generato dai monasteri nell’Africa contemporanea è assai spesso un’esternalità positiva che nasce dalle attività o dalle innovazioni del monastero. Come ha affermato l’Abate di Keur Moussa : «Non cerchiamo lo sviluppo, esso viene da sé». Le comunità di ispirazione benedettina hanno nella loro tradizione il fatto di sviluppare dentro e intorno al monastero le condizioni che permetteranno di provvedere ai loro bisogni. Questo significa, nell’ambito di una nuova fondazione, che i monaci e le monache lavoreranno per rendere coltivabile la propria terra, per assicurarsi la presenza dell’acqua e portare o produrre elettricità. L’abbazia di Keur Moussa in Senegal ha adottato come motto la seguente frase: «E il deserto fiorirà » (Is 35,1) ed effettivamente ha reso possibile l’agricoltura nelle proprie terre, un tempo aride, e ha introdotto nell’ambiente nuove specie. L’assunzione di dipendenti locali contribuisce anche allo sviluppo locale, dando lavoro alle persone dei dintorni. Per un monaco keniota del monastero di Our Lady of Mount Kenya si tratta della dimensione principale della loro attività di sviluppo. Inoltre, anche la formazione di monaci e monache è parte diretta della loro attività di sviluppo. Indirettamente, il monastero partecipa allo sviluppo della propria regione quando attira popolazioni che andranno a stabilirsi nelle vicinanze per beneficiare di un lavoro, di un dispensario o di una scuola.

Un’altra dimensione dello sviluppo monastico deriva infatti dalla risposta dei monaci e delle monache a istanze locali. Dato che le prime comunità religiose presenti in Africa erano congregazioni missionarie il cui scopo era quello di sviluppare scuole, dispensari e ospedali, lo stesso tipo di richiesta è rivolta ai monaci quando essi si stabiliscono in un nuovo ambiente. Ecco perché i monaci di Keur Moussa che venivano da Solesmes e recavano con sé un modello di vita monastica strettamente contemplativa e di clausura, hanno dovuto aprire una scuola e un piccolo dispensario. Hanno però, appena possi- bile, affidato la scuola a laici e il dispensario a una congregazione apostolica femminile. Come ha affermato un monaco in un’inter- vista : «Le donne venivano a partorire ed erano i monaci a doverlo fare, mentre non è questa la missione di un monaco!». Le comunità monastiche a volte supportano anche programmi sociali, come nel caso del monastero di Our Lady of Mount Kenya che partecipa a un progetto di agricoltura alternativa, per aiutare le famiglie povere a diventare autosufficienti.

 

3. L’economia monastica come economia alternativa

L’economia monastica può anche costituire una forza di cambiamento all’interno dell’economia stessa, portando modalità alternative di viverla. Nel contesto europeo, ad esempio, i monasteri cercano di offrire un’alternativa all’approccio capitalista e in alcuni casi sviluppano vere e proprie riflessioni, proponendo anche corsi su questo argomento[9]. La religiosa francese Nicole Reille parla così dell’economia delle Congregazioni come di una «economia profetica » grazie alla testimonianza che può dare al mondo attraverso gli investimenti etici.

La dimensione alternativa dell’economia dei monasteri africani si osserva anche in relazione al contesto specifico, perché l’alterità si costruisce solo in relazione alle norme della società. Una prima dimensione riguarda il modo in cui il lavoro è vissuto e motivato nella vita monastica. Dato che il lavoro a prima vista potrebbe apparire in contraddizione con l’ideale monastico, i monaci e le monache utiliz- zano nelle interviste diverse forme di giustificazione. Per esempio, una sorella giovane a Karen:

«Compio il mio lavoro con amore, non sempli- cemente per farlo. Lo faccio con molto amore, al punto che le sorelle sentono esse stesse che il loro abito è lavato con amore. Se fate le pulizie in un locale con amore, qualcuno dirà : “Sì, questo è stato fatto con amore”. Conta poco sapere quali studi avete fatto per questo ma ciò che in questo modo donate alla comunità »[10] (04/2014).

Un esempio interessante viene da Séguéya in Guinea Conakry, nella particolare situazione di questo stato comunista dove i monaci contribuiscono a dare nuovo valore al lavoro: i monaci lavorano con le loro mani, cercano di fare di tutto per avere un’attività redditizia.

«La Guinea ha come particolarità di non posse- dere una vera cultura del lavoro a causa del sistema politico. La gente ha perso la cultura del lavoro. E il fatto di vedere i nostri fratelli lavorare e arare la terra ha dato alla gente la voglia di fare lo stesso. Penso che sia un messaggio che passa » (04/07/2016).

Una seconda dimensione è la gestione umana e sociale. La dimen- sione sociale delle assunzioni è un criterio che a volte prevale su quello della prestazione economica. A Keur Moussa, il cellerario spiega:

«È prima di tutto la dimensione sociale. Sin dall’inizio, abbiamo avuto l’esigenza sociale di voler aiutare coloro che attorno a noi non avevano lavoro e che vengono a chiederci lavoro. Vorremmo fare di più, ma siamo limitati nei mezzi. Aiutiamo molto le persone attorno a noi» (04/07/2016).

Inoltre, alcune comunità africane pagano i contributi assicura- tivi ai dipendenti, fatto non sempre diffuso nella società.

Infine, lo sviluppo sostenibile e l’ecologia sono argomenti che vanno sempre più affermandosi nelle comunità africane. Così la comunità di Keur Moussa è attualmente impegnata nell’agricoltura biologica. O, in Kenya, i monaci stanno sviluppando l’energia solare e il riciclaggio dell’acqua per aggirare la difficoltà, in attesa di essere collegati alla rete centrale. Il monastero di Agbang (Togo), che vive anche di energia solare, costituisce una fonte di energia elettrica per i Fulani della savana che si recano al monastero per ricaricare i telefoni.

Ponte costruito dai monaci benedettini di Kasanza (RDC) che permette di ridurre di 40 km il tragitto per Kikwit. © P. Weestraeten.
Ponte costruito dai monaci benedettini di Kasanza (RDC) che permette di ridurre di 40 km il tragitto per Kikwit. © P. Weestraeten.

Conclusione

Che cos’è l’economia monastica? Giunti a questo punto, possiamo affermare che non esiste un’economia monastica in sé, ma diverse forme di economia dei monasteri che sono legati alla storia politica e religiosa di ogni paese e al contesto economico e sociale corrente. Tuttavia, si osservano alcune tendenze comuni nella direzione che le comunità desiderano imprimere alla loro attività economica.

La forma dell’economia riveste un ruolo importante per la credi- bilità della vita monastica in una società, perché rappresenta spesso uno dei primi vettori di comunicazione con il mondo. Inoltre, essa influenza la forma della vita monastica e viceversa.

L’economia dei monasteri africani è un’economia che spesso cerca ancora la stabilità e riflette le specificità del contesto socio- economico e le influenze del modello del fondatore. Ma anche, molto spesso, attraverso le attività economiche i monasteri possono svolgere un ruolo nello sviluppo del loro ambiente. Senza che essa sia un obiet- tivo della vita monastica in sé, si osserva, secondo l’espressione di Max Weber, una “affinità elettiva” tra economia monastica e sviluppo economico, sociale e culturale dell’ambiente in cui il monastero è inserito. La vita monastica può quindi influenzare il proprio ambiente e anche, quando la matrice monastica è sufficientemente consistente, influire sulla stessa società come abbiamo potuto constatare nella storia europea.

 

[1] Isabelle Jonveaux è sociologa, docente all’università di Graz e membro del CéSor (Parigi). Lavora in modo particolare sulle questioni riguardanti la vita monastica (economia, lavoro, ecologia, rap- porti tra i sessi, disciplina del corpo, ascesi), internet e religione (pratiche religiose on line, digiuno da internet), ma anche su digiuno e consumo alternativo (stages di digiuno ed escursioni, sobrietà positiva…). Attualmente sta sviluppando un progetto di ricerca sulla vita monastica cattolica in Africa. L’articolo qui proposto è una parte del suo intervento nel contesto del convegno dell’I- stituto monastico di Sant’Anselmo a Roma su «Vita monastica ed economia » (cf. Monasticism and Economy: Rediscovering an Approach to Work and Poverty, Acts of the Fourth International Symposium, Rome, June 7-10/2016, Studia Anselmiana, Roma 2019).

[2] P. Schmitz, Histoire de l’ordre de saint Benoît, tomo II, Œuvre civilisatrice jusqu’au XIIe siècle, Maredsous 1943, p. 18.

[3] Jean-Pierre Olivier de Sardan è un antropologo francese e nigeriano, attualmente professore di antropologia (direttore degli studi) all’Ecole des hautes études en sciences sociales di Marsiglia.

[4] J.-P. Olivier De Sardan, Anthropologie et développement. Essai en socio-anthropologie du changement social, Marseille-Paris 1995, http://classiques.uqac.ca/contemporains/olivier_de_sardan_jean_ pierre/anthropologie_et_developpement/anthropo_et_developpemen.pdf [accesso:11-11-18].

[5] «The remarkable stability of monasticism is in large part a stability of memory, a continuity of understanding spanning thirty generations». R .H. Winthrop, Leadership and Tradition in the Regulation of Catholic Monasticism, Anthropological Quaterly 58 (1985), p. 30.

[6] B. Delpal, Le silence des moines. Les Trappistes au XIXe siècle, Paris 1998, p. 15.

[7] Olivier de Sardan, Anthropologie et développement.

[8] M. Derwich, La vie quotidienne des moines et chanoines réguliers au Moyen-Age et Temps Modernes, Wroclaw 1995.

[9] I. Jonveaux, Le monastère au travail, Paris 2011.

[10] «I do it with love, not just doing it, I do it with a lot of love. Until they feel them-selves that this cloth is washed with love. Even when you sweep you sweep a place with love and somebody will look and say: “Yes, this was done with love”. It doesn’t matter what you have gone to school for but what matters is what you give to the community» (04/2014).

Il nuovo monastero di Envigado (Colombia)

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Arte e cultura

Dom Guillermo Arboleda, OSB

Abate di Envigado (Colombia),

Presidente della congregazione di Subiaco Montecassino

 

Il nuovo monastero di Envigado (Colombia)

 

 

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Le suore benedettine missionaire di Tutzing

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Une pagina di storia

Dal sito web della Congregazione di Tutzing

 

Le suore benedettine missionaire

di Tutzing

 

 

Come tutto è cominciato

«Global Prayers», è così che si chiama un celebre movimento contemporaneo di rinnovamento religio- so a livello mondiale ed è così che la nostra comunità avrebbe potuto essere presentata sin dall’inizio. Infatti, ciò che oggi è considerato come nuovo, le nostre suore lo hanno già messo in pratica da diversi decenni. Avevano a cuore di portare e far progredire il messaggio della Buona Novella di Gesù Cristo nel mondo intero. Per questo, hanno lasciato tutto dietro di loro e si sono impegnate in un avvenire incerto.

 

Il fondatore

Il loro fondatore era un monaco benedettino di Beuron, padre Andreas Amrhein (1844-1929), originario della Svizzera. In un tempo in cui molte congregazioni missionarie venivano alla luce – le missio- narie del Sacro Cuore (1855), le missionarie Comboniane (1867), i Padri Bianchi (1868), i missionari Steyl (1875) o ancora i missionari di Marianhill (1882) – la domanda di sapere se vita benedettina e missione potevano conciliarsi era lancinante nel suo cuore. Nel corso di lunghi anni di ricerca e di combattimento – con se stesso, con i suoi superiori e diverse autorità – fece prova di una profonda perspicacia. Malgrado numerosi ostacoli sulla sua strada, non si poté impedirgli di sviluppare e mettere in opera una tale ispirazione.

 

Una ispirazione

Nel 1885, padre Amrhein presenta a Münster, in occasione della XXXII Giornata cattolica tedesca, la sua idea di una «comunità benedettina per il lavoro missionario nei paesi stranieri». L’anno precedente, aveva fondato una casa di missione per uomini a Reichenbach, nell’Alto Palatinato. Gli era segretamente caro – in quei tempi anticlericali da un punto di vista politico – il sogno che le donne partecipassero ugualmente a un tale compito.

 

La scintilla si è accesa a Münster

Tre settimane più tardi, le prime quattro donne, della Westfalia, si lanciavano con audacia in un viaggio avventuroso verso il sud della Germania. Queste donne volevano in verità partire per l’India, ma Dio sembrava avere per loro altri progetti.

Gli inizi di questa comunità di uomini e di donne di Reichenbach furono difficili. Le condizioni politiche dell’epoca obbligavano a che quasi tutto fosse fatto in segreto. La situazione materiale era estrema- mente complessa, quasi disperata.


Nuova partenza a Sankt Ottilien

Già nel 1887, una seconda casa fu fondata a Emming , l’attuale Sankt Ottilien, dove ben presto s’insediò tutta la comunità ; Reichenbach fu completamente abbandonata. A Emming, le due branche della comunità prosperarono. Tutti vivevano in condizioni di grande semplicità e povertà. Le comunità dovevano far fronte a numerosi problemi e compiti enormi: molti giovani uomini e donne si unirono a quest’opera. Bisognava assicurare la loro sussistenza e costruire degli edifici nei quali potessero vivere. Era ugualmente urgente iniziarli alla vita religiosa e formarli professionalmente. Dovevano essere presto inviati all’estero. Laggiù, sarebbero stati abbandonati a se stessi e avrebbero dovuto proclamare la fede in modo responsabile, restando attivi nella professione medica o educativa come in ben altri settori.

 

Primi passi nel mondo

Padre Amrhein accettò rapidamente l’offerta di prendere in carico una regione dell’Africa dell’Est. La prefettura apostolica dello Zanzibar Sud era stata creata con un decreto pontificio del 16 novembre 1887 e rimessa alla «nuova Congregazione benedettina tedesca per le missioni straniere». Era la prima volta che dei missionari di questa nuova famiglia potevano essere inviati all’estero.

Così in un tempo straordinariamente breve, vale a dire dalla fine del 1887, i primi fratelli e le prime sorelle osarono fare il grande passo che avrebbe rivoluzionato il loro avvenire: l’11 novembre 1887 il primo gruppo (un prete, nove fratelli e quattro sorelle) si recarono in Africa dell’Est, in Tanganyika. Questi e altri che li avrebbero seguiti cominciarono a costruire delle case di missione laggiù. Subirono gravi battute d’arresto. Alcune malattie che non conoscevano colpirono numerosi fratelli e sorelle ancora giovani – il cimitero vicino a Dar es Salaam è eloquente a riguardo. Nel 1889, la prima casa di Pugu fu attaccata e alcuni fratelli e sorelle furono assassinati. Tuttavia, in Germania, malgrado le cattive notizie, molti giovani continuarono a entrare. Dal 1896, le due comunità di Sankt Ottilien contavano sedici padri, tredici chierici, quarantasei fratelli e settantuno sorelle. La necessità di spazi a Sankt Ottilien divenne sempre più urgente e le sorelle dovettero cercare rapidamente la proprioa Casa madre.


Centro spirituale di Tagaytay (Filippine). Rio de Janeiro (Brasile). Jinja (Uganda).


La casa madre, il cammino d’indipendenza

Così, nel 1902, fu presa la decisione di un insediamento di sorelle a Tutzing. Dal 1887, le sorelle avevano fondato a Reichenbach una piccola comunità che gestiva un asilo d’infanzia. Poi fu costruito un grande convento su di un prato a Tutzing nel quale tutte le sorelle poterono trasferirsi. Il 1° gennaio 1904 un totale di 119 sorelle apparteneva alla comunità.

Questa tappa rappresentava per le sorelle ben più che un cambia- mento di luogo. Le conduceva sulla via dell’indipendenza. Se questo non è stato facile all’inizio, l’avvenire doveva mostrare che fu una decisione chiaroveggente che doveva condurre la comunità a uno sviluppo inatteso. Il legame fraterno con i fratelli di Sankt Ottilien tuttavia è stato preservato fino ai nostri giorni.

 

Nel mondo

La priorità delle sorelle era di servire la predicazione del Vangelo e di essere al servizio della popolazione. Dopo i primi invii comuni (monaci e suore) verso quella che è oggi la Tanzania, dove ci sono ancora due priorati a Peramiho e Ndanda, le sorelle hanno intrapreso nel 1903, sotto la direzione previdente della prima priora, Madre Birgitta Korff, una nuova fondazione in un paese che era loro scono- sciuto: il Brasile. Un anziano confratello del padre Andreas Amrhein a Beuron e Maredsous, Dom Gerard von Caloen, era diventato abate di Olinda (Brasile) nel 1896 e invitò le sorelle ad animare un’opera missionaria in Brasile. Domandò a Madre Birgitta delle suore per l’educazione delle giovani ragazze.

Una nuova fondazione ebbe luogo nel 1906. Cinque sorelle partirono per le Filippine piene di zelo per la missione… Numerose altre fondazioni seguirono in tutti i continenti del mondo. Attualmente le sorelle sono presenti in diciassette paesi sui quattro continenti:

In Europa : Germania, Bulgaria, Italia, Spagna, Portogallo, Svizzera.

In America : Argentina, Brasile, Stati Uniti.

In Africa : Angola, Kenya, Namibia, Tanzania, Uganda.

In Asia : Corea del Sud, India, Filippine.

La Casa madre è a Roma.

Nel 2017 la Congregazione contava 1.336 religiose in 136 case.


Suore della Corea del Sud.
Suore della Corea del Sud.

Madre Bénigne

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Monaci e monache, testimoni per il nostro tempo

Madre Marie-Madeleine Caseau e suor Lazar de Seilhac

Congregazione benedettina di Sainte-Bathilde

 

Madre Bénigne

Odile Moreau (1924-2020)



Nata il 10 Agosto 1924 a Baume-les-Dames, battezzata il 24 settembre 1924 a Voulaines, villaggio della Côte d’Or, che le è sempre rimasto molto caro e dove la sua famiglia aveva una proprietà, Odile Moreau, dopo una formazione da infermiera, è entrata nel postulandato di Vanves il 13 novembre 1946 e ha ricevuto l’abito con il nome di suor Bénigne l’8 settembre 1947.

Dopo la sua prima professione, il 21 novembre 1948, le sue capacità relazionali la fecero designare presto come aiutante della sorella foresteraria. Fu però presto inviata come aiuto in Madagascar, nel novembre 1952. Vi farà professione perpetua a Ambositra il 18 dicembre 1953. Nominata priora di Ambositra nel 1959, si sentiva in grande affinità con la cultura malgascia. Fu felice di sostenere la fondazione di Mananjary e di preparare quella di Joffreville; ha avuto un ruolo importante nella creazione dell’Unione delle Superiori Religiose del Madagascar.

La sua elezione come Priora generale della Congregazione, nel giugno 1975, la riportò in Francia. Lasciare il Madagascar fu un grande sacrificio per lei: si sentiva in armonia con il paese e con i diversi aspetti della sua cultura. Tale esperienza le ha permesso di comprendere nel profondo cosa potessero provare i fratelli e le sorelle di ritorno da una fondazione cui avevano dato in dono la loro vita.

Durante i suoi ventitré anni d’assenza (non era tornata se non per due Capitoli generali) la comunità di Vanves aveva, nel frattempo, vissuto molti eventi: la prima fondazione in Vietnam, la fusione con l’ultimo monastero di Fontevrault, una fondazione in Bénin, il trasferimento a Saint-Thierry, la modifica dello statuto di Vanves. La revisione delle Costituzioni era in corso. Negli anni seguenti il Concilio Vaticano II, la sua esperienza fu preziosa per la messa a punto degli Statuti della Congregazione di Sainte-Bathilde e per la transizione che ne conseguiva. Lei, che non amava né il Diritto né i cambiamenti, sorrise del fatto di essere «l’ultima Priora generale e la prima Presidente». La Priora generale doveva essere anche Priora di Vanves. C’erano da affrontare situazioni molto complesse. Ha esercitato due mandati come Priora di Vanves e Priora generale, e poi di Presidente della Congregazione dal 1975 al 1989, durante un periodo di grandi cambiamenti nella vita della Chiesa. Invitata a Roma, con Madre Flavie, Abbadessa dell’abbazia di Limon, al congresso delle abbadesse della Confederazione benedettina, la sua lungimiranza le permise di essere l’anima della realizzazione di ciò che diventerà la CIB (Commissione Internazionale delle Benedettine). Accompagnò la revisione delle Costituzioni e intrattenne buonissime relazioni a Roma con la Congregazione per gli Istituti della vita consacrata, facendo comprendere il carisma delle Benedettine di Sainte-Bathilde. Molto vicina a padre Denis Huerre, che la stimava molto, preparò con il Consiglio della Congregazione la richiesta – che sarebbe poi stata avanzata al Capitolo generale del 1981 – di associazione alla Congregazione di Subiaco.

Suo grande rammarico fu di non essersi mai potuta recare in Vietnam a causa della situazione politica.

Madre Bénigne a Vanves, con le suore del Vietnam.
Madre Bénigne a Vanves, con le suore del Vietnam.

Ha sostenuto e accompagnato la vita a Etoy, con le nostre sorelle Diaconesse di Versailles e di Saint-Loup, rimanendo fedelissima a tutto ciò che promoveva l’unità. La presenza nella comunità di Vanves di suor Edith (diaconessa) durante l’anno 2019 le giovò molto.

Al Capitolo generale del 1989, lasciò la carica a Madre Emmanuel, restandone vicaria, mentre Madre Béatrice de Martigné ne era consigliera. Madre Emmanuel confidava allora su di lei. Spesso il Consiglio si riuniva a Cours, in una casa di proprietà della Congregazione che lei amava molto.

Il suo senso delle relazioni esterne ha aiutato molte persone, spesso dei preti, a ritrovare un cammino di speranza e di pace dopo essere passati per Vanves.

Rimasta Priora della comunità di Vanves sino al 2003, ha avuto modo di partecipare al grande passo che si sarebbe compiuto con la ricerca di un avvenire sostenibile. Vide la posizione di Vanves, alle porte di Parigi, come essenziale quale importante luogo di passaggio per tutti, con la presenza dell’AIM, in una grande apertura a tutte le angosce esistenziali: quante suore, quante persone si sono sentite accolte così come erano, senza sentirsi giudicate!

Durante tutti gli anni del suo priorato, Madre Bénigne fu di grande supporto per l’AIM e fu membro del Consiglio di amministrazione per numerosi anni. Aveva sempre un’attenzione particolare per i responsabili di questo organismo, specialmente verso chi viveva sul posto, mostrandosi sempre accogliente con i membri dell’Equipe internazionale in riunione due o tre volte all’anno a Vanves. Lei manterrà al di là del suo priorato la cura per le comunità della famiglia benedettina negli altri continenti. I monaci e le monache di passaggio a Vanves, collegati o no all’AIM, beneficiavano sempre da parte sua di un bell’ascolto fraterno. Ha sostenuto ugualmente l’AMTM (Associazione degli Amici dei Monasteri Attraverso il Mondo), associazione di laici che viene in aiuto all’AIM. Intrattenne con parecchi suoi membri una relazione di amicizia fedele.

Dopo un anno passato nella comunità di Martigné-Briand, ritornò a Vanves dove si rendeva disponibile per alcune sorelle, accogliendo nella fede i cambiamenti profondi che si stavano operando, pur non condividendone sempre la necessità, ma camminando con tutte, serenamente, sino a quando l’età avanzata l’ha costretta a partecipare meno alle attività e a restare infine per un po’ più di un anno nella sua camera d’infermeria, con qualche vuoto mentale: lei accettava il tutto con pazienza.

È rimasta molto vivace sino alla fine, manifestando a volte il suo fastidio, soprattutto nelle ultime settimane, quando il personale infermieristico non veniva più a causa dell’isolamento dovuto al Covid 19.

Ci ha offerto bei momenti di sorriso e di comunione, e la sera preferiva benedire quei tre “angeli custodi” che esserne benedetta!


Madre Bénigne con aleune suore della comunità di Vanves.
Madre Bénigne con aleune suore della comunità di Vanves.

Dom Basílio Penido

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Monaci e monache, testimoni per il nostro tempo

Padre Matias Fonseca de Medeiros, OSB

Monaco dell'Abbazia di Rio de Janeiro (Brasile)

 

Dom Basílio Penido

(1914-2003)

 

 

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Il Segretariato AIM

16

Notizie

Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Presidente dell'AIM

 

Il Segretariato AIM

 

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I miei anni in AIM

17

Notizie

Madre Mary Placid Dolores, OSB


I miei anni in AIM (2005-2020)


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Viaggio in Argentina (continua)

18

Notizie

Dom Jean-Pierre Longeat, OSB

Presidente dell’AIM


Viaggio in Argentina (continua)[1]

 


 

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